Voto, la sfida delle piazze
Chiusa la campagna elettorale. I dati dell’Istat sul lavoro: perso un milione di contratti a termine Il centrodestra attacca in Toscana. Zingaretti: lotto da solo, ma la partita è aperta
Vigilia delle elezioni. Si vota per il referendum e il rinnovo di sei consigli regionali. L’Istat: perso un milione di contratti a termine.
Ieri sera Nicola Zingaretti temeva di non poter tenere il suo comizio finale a Macerata. Nessun retroscena politico, però. Semplicemente il segretario pd aveva paura di perdere la voce, fiaccata da giorni e giorni di discorsi elettorali. «Gli altri, le destre, sono in tre, io sto da solo, ma va bene così, avevo detto che volevo metterci la faccia», sospirava con i suoi. Un po’ provato fisicamente, ma moderatamente ottimista: «È una partita molto difficile, ma è aperta».
«La storia del voto utile sta funzionando», spiegava ai suoi. E infatti l’ha riproposta anche a Macerata. «La risposta delle piazze comunque è buona», osservava, forse ricordando l’episodio dell’altro giorno a Pistoia, quando dalla platea si è alzato un urlo: «Nicola, resisti che hai ridato vita a un morto».
Del resto, lo stesso segretario ricorda sempre di avere assunto la guida del Pd quando era al lumicino. «Ma ho vinto sempre tutte le elezioni», ripete spesso con malcelata soddisfazione. Doveva andare male alle europee, perdere l’Emilia Romagna, ma è andata in tutt’altro modo. E infatti il paragone che più gli è piaciuto è quello tra lui e la mangusta. Si proprio la mangusta, che si finge morta e poi attacca il serpente. Ieri a «Mattino 5» hanno mandato un filmato di questo classico dei combattimenti del mondo animale e il segretario rideva quando lo hanno paragonato alla mangusta. La similitudine fa il paio con quest’altra definizione che Zingaretti ama dare di sé: «Sono un mite ma non sono un fesso». E non essendolo il segretario del Pd sa bene di avere tutti i fucili puntati addosso, anche quelli del suo stesso partito. L’insopprimibile tendenza del Pd a logorare e divorare leader non è una novità. Zingaretti si dice «colpito» dal tenore di certe polemiche interne e poi suggerisce: «Vorrei parlarne insieme a un convegno, invitando qualche psichiatra...».
Il leader sa bene che più di uno attende un suo passo falso. In Toscana? No, in Puglia, dicono. Non a caso al Nazareno rimproverano al governo di non aver fatto niente per l’Ilva.
Ma Zingaretti fa mostra di non dare troppa retta ai retroscena. Un giorno ha siglato un patto con Giuseppe Conte per non toccare il governo anche in caso di batosta elettorale. Un altro giorno i due hanno deciso la staffetta: Zingaretti premier e Conte, poi, al Quirinale.
Un altro giorno ancora il segretario si dimette da tutto, affida il Pd ad Andrea Orlando, regala la regione ai grillini, si prende il Campidoglio per un esponente del suo partito e va a fare il vicepremier in tandem con Luigi Di Maio. «Retroscena da corridoi», stigmatizza Francesco Boccia. Ma i corridoi non sono quelli delle redazioni dei giornali, bensì del Nazareno.
Uno dei maggiori crucci del segretario è rappresentato dalla «grave responsabilità» che si è assunto il M5S rifiutando le alleanze: «Non stendiamo tappeti rossi alle destre, votate per chi può vincere», osserva il leader rivolto agli elettori grillini. Alla classe dirigente 5 Stelle dice: «Non si può governare da avversari, bisogna avere una visione comune». E sul Mes avverte: «È uno dei pilastri del confronto sui quali non molliamo. Ora decidere in fretta».
Zingaretti sa che se il Pd perde di brutto gli sarà accollata tutta la responsabilità. Del resto, il suo in questa campagna è stato una sorta di uno contro tutti (gli avversari, si intende) . E sul referendum i padri nobili del Partito democratico (da Romano Prodi a Walter Veltroni, passando per Arturo Parisi) hanno annunciato il loro No. Ma se il voto andrà bene Zingaretti potrà intestarsi la vittoria, avendo giocato questa partita quasi da solo. E lo farà anche in caso di vittoria dei Sì al referendum: per questo lunedì la sala stampa del Nazareno sarà aperta. E il segretario sarà in sede, perché non lascerà che la paternità della vittoria dei Sì sia solo grillina.
Questa è una partita molto difficile, ma la battaglia resta aperta, apertissima
Non possiamo governare senza un’idea di Paese e senza una visione comune
N. Zingaretti