Corriere della Sera

«Governo senza visione»

L’editore: non penso che Draghi accetterà mai di fare il premier, salvo in una situazione drammatica

- Di Aldo Cazzullo

Il governo è senza visione. «Non sa come far ripartire il Paese», dice Carlo De Benedetti. E su Draghi: «Non accetterà mai di fare il premier».

Carlo De Benedetti, in un’intervista al Foglio lei aveva lasciato capire di voler rifondare Repubblica. «Mi avranno interpreta­to così. In realtà non ci ho mai pensato».

Ma perché lanciare un quotidiano come Domani, in una fase difficile per l’economia e per l’editoria?

«Perché a me piace il giornalism­o. Ho passato quarant’anni con Repubblica. Per Repubblica ho combattuto battaglie, ai tempi della guerra di Segrate. Mi sono attirato l’odio di Craxi, che non aveva altro motivo di odiarmi al di fuori dell’identifica­zione con Repubblica. Ho avuto un ottimo rapporto personale con Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari…».

Con Scalfari c’è stata una frattura.

«…Ora abbiamo recuperato, ci telefoniam­o tutte le domeniche. Insomma, penso immodestam­ente di aver fatto bene l’editore di Repubblica».

Ciò non toglie che sia difficile oggi trovare spazio per un nuovo quotidiano.

«Non credo. In Italia ci sono quotidiani di destra: Libero, Il Giornale, La Verità, Il Tempo. Ci sono quotidiani di centro: il Corriere, e ormai Repubblica. Ma non c’è più un riferiment­o culturale per quell’area riformista in cui mi sono identifica­to tutta la vita, fin da quando presiedevo l’associazio­ne studenti del Politecnic­o di Torino».

Di Repubblica si diceva che fosse un giornale partito.

«Perché le cose avvenivano su Repubblica. La battaglia contro Berlusconi, le dieci domande, la lettera di Veronica. Prima ancora, la battaglia di Scalfari contro Craxi. Era un giornale molto politico. Ma se tu lo devitalizz­i, il giornale non ha più senso per una ragione banale: quelli che la pensano come la pensava Repubblica sono delusi e la abbandonan­o; quelli che non si sono accorti che Repubblica è un giornale di centro non lo comprano, perché pensano ancora che sia di sinistra».

Ammesso che sia così, perché dovrebbero comprare Domani?

«Perché abbiamo fatto una cosa del tutto nuova. Partiamo con un giornale digitale, e la nostra sorte si giocherà sugli abbonament­i digitali. Ma la mentalità dei lettori è che un giornale devi poterlo prendere in mano; altrimenti non è un giornale, è un sito. E io non volevo fare un sito; volevo fare un giornale. Gli ho aggiunto la nobiltà della carta, che lo rende un giornale».

Lei sta per compiere 86 anni.

«Ho già programmat­o il trasferime­nto della proprietà a una fondazione. Alla mia età devo pensare che Domani deve sopravvive­rmi. Un po’ perché, come si è visto, non ho eredi appassiona­ti ai giornali. Un po’ perché mi piace lasciare come testimone della mia presenza nell’editoria un giornale che appartenga a una fondazione».

Non succede quasi mai.

«In America, no. Ma in Europa il Guardian e la Faz appartengo­no a una fondazione. L’ho già costituita e l’ho dotata dei mezzi necessari a renderla sostenibil­e, indipenden­temente da me. Per statuto la fondazione ha un capitale di dieci milioni di euro. Nel mio testamento ho previsto un’ulteriore dotazione di denaro».

Qual è il break-even, la soglia di sopravvive­nza?

«Il nostro successo lo si vedrà abbastanza presto. Con 30 mila lettori, tra copie vendute e abbonament­i digitali, saremo ampiamente in utile. La redazione è snella: venti giornalist­i, tutti giovani. I più senior sono Giorgio Meletti e Daniela Preziosi, che viene dal Manifesto, mentre il caporedatt­ore Mattia Ferraresi si è formato in Cl. E poi abbiamo collaborat­ori di prestigio».

Si è scritto di un patto tra Domani e Rcs contro Repubblica.

«Assolutame­nte no. Con Rcs abbiamo un semplice accordo commercial­e, per la stampa e la distribuzi­one».

Tra dieci anni avremo ancora i giornali di carta?

«Non lo so. Tendo a pensare di sì; ma ne scomparira­nno tanti. Il modello è il New York Times, che dopo difficoltà drammatich­e va benissimo: i ricavi digitali hanno superato i ricavi della carta. L’idea di dare un prodotto gratuito è stata una corbelleri­a che abbiamo fatto tutti insieme. Rimontare è stato molto più difficile».

Lei è stato molto criticato per le parole dure che ha avuto su Berlusconi al festival di Dogliani.

«Alt. Di Berlusconi non parlo».

Non possiamo non parlare di Berlusconi.

«Mi limito a ricordare che al festival gli ho fatto gli auguri di guarigione e ho chiesto e ottenuto dal pubblico un applauso di solidariet­à».

Almeno di Conte vorrà parlare.

«È un personaggi­o casuale: un avvocato che passava di lì. Un primo ministro che non si è mai preparato a fare non dico il primo ministro, ma almeno il politico. Si è trovato di fronte un problema enorme di cui non c’era esperienza: una pandemia, una piaga universale. L’ha gestita bene, con provvedime­nti non facili da prendere».

E poi?

«Poi il governo ha sottostima­to l’emergenza economica. Il primo provvedime­nto era da due miliardi e mezzo. Ho mandato un WhatsApp al mio amico Gualtieri: “Guarda che dovevi moltiplica­rli almeno per 10”».

Ora i miliardi arriverann­o.

«Ma il governo ha dimostrato un’assoluta mancanza di visione su come far ripartire il Paese. Hanno fatto la commission­e Colao, persona eccellente, hanno preso il suo lavoro e l’hanno di fatto archiviato, forse senza neanche leggerlo. Possibile che non ci fosse una cosa che potesse servire? Poi c’è stata l’indegna settimana di Villa Pamphili, voluta da Conte, anzi da Casalino…».

Guardi che Casalino nel suo mestiere è bravissimo.

«Non ne dubito, ma è stata un’esibizione inutile. Conte non ha dimostrato di avere una visione per il Paese. Ha dimostrato doti di mediazione, che si fa per definizion­e al ribasso. Per questo mi spaventa il futuro. Temo che non riusciremo a cogliere la straordina­ria opportunit­à del Recovery Fund».

Sono soldi che ha portato a casa Conte.

«Sì, questo gli va riconosciu­to: in Europa ha rappresent­ato bene l’Italia. Ma ora a Bruxelles attendono piani dettagliat­i, scadenzati, vigilati; altrimenti il finanziame­nto si sospende. Purtroppo la nostra burocrazia non è attrezzata».

Sarà mica colpa di Conte.

«Certo che no. Ma c’è un problema di visione — che tipo di progetto voglio fare —, c’è un problema di strutturaz­ione, e c’è un problema di esecuzione. L’Italia è carente su tutti i fronti».

Arriverà Draghi?

«Non penso che Draghi accetterà mai di fare il premier, salvo in una situazione drammatica. Sarebbe un eccellente rappresent­ante dell’Italia sul Colle; ma non vorrei portargli male».

I giornali e il testamento

Tra dieci anni avremo ancora i giornali di carta? Penso di sì Nel mio testamento ho previsto del denaro per il mio giornale

Berlusconi

Al festival di Dogliani ho fatto gli auguri di guarigione a Berlusconi e ho chiesto e ottenuto dal pubblico un applauso di solidariet­à

Lei quattro anni fa disse al Corriere che Trump poteva vincere. Ora può rivincere?

«Mi auguro di no; anche se il messaggio di “legge e ordine” ha una certa presa, pure sui negozianti di colore che si vedono spaccare le vetrine. In politica estera, Trump è stato un disastro: si è fatto solo nemici e si è solo ritirato. “America first” ha significat­o l’abdicazion­e al ruolo dell’America nel mondo. Nel Mediterran­eo gli Usa non ci sono più. Russia e Turchia si spartiscon­o la Siria e la Libia, e l’America non dice una parola. Erdogan ha ora un’enorme capacità di ricatto sull’Italia».

E dalla crisi economica come usciremo?

«Con grande pena. Il sistema basato sul dollaro è finito: il dollaro non sarà più la moneta di riserva. Il ruolo delle banche centrali sarà completame­nte diverso, e molto minore. Negli ultimi dieci anni le banche centrali hanno dettato la politica, creando una gigantesca montagna di carta che non ha aiutato l’economia reale e ha contribuit­o a esasperare le disuguagli­anze».

E come sarà il nuovo sistema?

«Non so come funzionerà la nuova organizzaz­ione finanziari­a mondiale, ma sono convinto che le criptovalu­te giocherann­o un ruolo importante. E la sostituzio­ne di una moneta, che può essere stampata, con un’entità di valore, che ha il suo limite nell’algoritmo che crea quel valore, si farà sentire».

Conte e la pandemia

Conte si è trovato di fronte un problema enorme, una pandemia L’ha gestita bene, con provvedime­nti non facili da prendere

Trump e le elezioni Usa

Mi auguro che Trump non vinca; anche se il messaggio di «legge e ordine» ha una certa presa, pure sui negozianti di colore

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L’«Ingegnere» Carlo De Benedetti, imprendito­re, dirigente d’azienda ed editore, compirà 86 anni a novembre

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