L’«Arte di fare affari», la bibbia di Trump nella guerra alle Reti cinesi
La strategia: porre limiti che rendano la tecnologia obsoleta, come nella contesa dell’acciaio si bloccano i camion ai confini
Uno strangolamento digitale progressivo come nuova versione tecnologica dell’Art of the Deal, la sua bibbia dell’abilità negoziale. Abituato a letture semplificate anche di ciò che è complesso e a prendere posizioni molto nette, non amante dei chiaroscuri, stavolta Donald Trump sta conducendo la guerra fredda tecnologica con la Cina in modo piuttosto sofisticato. Aiutato, in questo, dalla natura dei sistemi digitali che, a differenza di quelli fisici, consentono di esercitare pressioni graduali su un business, fino a togliergli del tutto l’ossigeno: nella guerra dell’acciaio blocchi i camion alla frontiera o le navi nei porti. Con servizi digitali come TikTok, invece, oltre a spegnere l’interruttore, puoi intervenire rendendoli meno attraenti, rallentandoli, bloccando gli aggiornamenti, imponendo limiti che li spingono verso l’obsolescenza.
È quello che il presidente americano ha fatto ieri dando seguito al suo ordine esecutivo del 6 agosto che ha preso di mira TikTok e WeChat, le due Reti digitali di maggior successo che la Cina ha sparso nel mondo raccogliendo ben due miliardi di utenti. Dopo aver colpito Huawei, leader nella produzione di apparati informatici e di telecomunicazioni con un primato mondiale nelle Reti 5G, adesso Trump prova a «spegnere» WeChat in America e mette alle corde TikTok, la piattaforma di scambi di video più amata dai giovani (100 milioni di utenti solo negli Stati Uniti).
Il presidente era comunque deciso a mostrarsi molto duro: ormai lo scontro con la Cina è totale e l’ostilità dei confronti di Pechino è uno dei pochi sentimenti che oggi uniscono quasi tutti gli americani. E Trump la cavalca anche in chiave elettorale. Disputa non solo economica: ieri la visita di un viceministro degli Esteri Usa arrivato a Taiwan per negoziare nuove forniture di armi ha fatto infuriare Pechino che l’ha considerata una violazione della sua sovranità sull’isola (giuridicamente riconosciuta anche se non effettiva). Xi Jinping ha reagito mandando decine di caccia e bombardieri a sorvolare lo stretto di Firmosa fino a sfiorare — e forse sorvolare — lo spazio aereo di Taiwan.
Ma se le dispute geostrategiche si giocano su uno scacchiere limitato, quelle economiche e per la sicurezza tecnologica sono planetarie. Trump aveva preannunciato l’intenzione di mettere al bando TikTok per motivi di sicurezza nazionale: l’azienda, legata al governo come tutte le imprese in Cina, raccoglie un’infinità di dati, molti dei quali sensibili, in quasi tutte le famiglie americane. Aveva, però, lasciato aperta una via d’uscita: la cessione delle attività della società negli Usa a un gruppo tecnologico americano. La sensazione era che si sarebbe arrivati all’accordo: benché ostile alla Cina, Trump è pur sempre un uomo d’affari. E il mondo della tecnologia, da Apple a Google a Facebook, non vede di buon occhio la messa al bando delle aziende cinesi (che usano, comunque, app americane). ByteDance, la controllante di TikTok, ha fatto cadere il negoziato con Microsoft e puntato su Oracle, contando sull’amicizia che lega Trump al capo del gruppo californiano, Larry Ellison.
Ancora non noto in tutte le sue parti, l’accordo negoziato dai cinesi con Oracle (e con Walmart, entrata successivamente nella combinazione) non dà agli americani il controllo maggioritario del capitale chiesto dalla Casa Bianca (Oracle prenderebbe il 20% circa) ma offre ampie garanzie sul controllo della tecnologia e dei dati (dal codice sorgente del software TikTok per consentire controlli sull’esistenza di porte nascoste attraverso le quali il governo cinese potrebbe risucchiare dati alla composizione dei consigli d’amministrazione, approvati dal governo Usa).
Evidentemente tutto questo non basta a Trump che sa di poter tirare ancora la corda: la stretta su WeChat, piattaforma usata anche per i pagamenti, renderà più complicato, per le imprese americane, fare acquisti in Cina. Quanto a TikTok, può negoziare fino al 12 novembre. Trump si eviterà la furia dei ragazzi TikTok-dipendenti prima del voto. E i cinesi, formalmente infuriati e pronti a ricorrere alle vie legali, starebbero già considerando un’altra formula nella quale, mettendo insieme le quote della società Usa già possedute da Sequoia Capital e da altri investitori statunitensi con quelle cedute a Oracle e Walmart, gli americani arriverebbero sopra il 50%.