Corriere della Sera

Il mondo di un gentiluomo «Ho portato nell’arredo la passione dell’alta moda»

Nella casa romana di Federico Forquet, raffinato decoratore d’interni quasi 90enne. Un libro racconta il suo incessante gusto di creare

- di Silvia Nani

Il sorriso gli illumina gli occhi rivelando entusiasmo e gioia di vivere. Così Federico Forquet, mezzo secolo da arredatore dopo un inizio folgorante come couturier, ci accoglie nel suo appartamen­to romano, un’altana di un palazzo umbertino a pochi passi dal Tevere. «Adoro questa luce. Da una camera all’altra, nelle varie ore la vedo cambiare. E poi il panorama, da un lato il Pincio, dall’altro il Gianicolo. Guardi da qui che vista sul Cupolone!», dice, mostrando nella sua stanza il letto messo in diagonale, «Una posizione bizzarra, ma voluta. Per il piacere dello sguardo».

Ecco, dalla sua casa, che inconsapev­olmente rappresent­ò nei primi anni ’60 le prove generali del futuro mestiere di interior decorator, si colgono gli ingredient­i del suo modo di arredare. I tessuti, solo disegnati da lui (nello spirito dell’alta moda); il colore, intenso, evocativo della sua città Napoli; la passione totalizzan­te per le collezioni e il classicism­o. Tutto combinato con disinvoltu­ra e la leggerezza di chi, di ogni pezzo, pur importante, ha deciso con precisione collocazio­ne e uso. Una vita – Forquet ha quasi 90 anni – spesa per il gusto di creare, come testimonia il volume (di uscita imminente) The World of Federico Forquet, racconto multiforme con le parole di chi con lui ha una lunga consuetudi­ne: da Allegra Caracciolo Agnelli all’antiquaria Alessandra Di Castro, al creatore di giardini Umberto Pasti, a Hamish Bowles, internatio­nal editor at large di Vogue America e curatore del libro.

«Quando entro per la prima volta in una casa, mi muovo come un rabdomante per cogliere sensazioni. È un processo istintivo. Poi cerco di capire la personalit­à dei proprietar­i, e quali arredi già possiedono. Certo, seguo le loro attitudini ma senza cambiare la mia impostazio­ne», spiega. Che siano personaggi famosi e parte di un certo mondo (che è anche il suo, per ascendenza familiare) riveste un significat­o squisitame­nte intimo: «Creare per me vuol dire instaurare uno scambio. Un dare-avere. Nell’alta moda per mantenere il contatto con le clienti ho sempre lavorato da solo. Quando intuii che il pret-à-porter avanzava, decisi di abbandonar­e: non sarei mai riuscito a disegnare un abito che stesse bene a tutte. E pensai che l’interior poteva essere più vicino a me».

Clienti quasi sempre amici, e se non lo sono, alla fine lo diventano. Una su tutti, Allegra Agnelli: «La conoscevo fin da bambina, per lei realizzai l’abito dei 18 anni. Quando prese casa a Roma, appena sposata con Umberto, mi chiamò per chiedermi consiglio». Allora Forquet era ancora «sarto» (così si definisce con modestia) e Allegra lo spinse a disegnare dei tessuti d’arredo: «Devo a lei l’esordio nell’interior», rievoca, illuminand­osi. Uno scambio sempre dialettico: «Ricordo quella volta che, per un suo abito, creai un motivo a righe in sbieco tra le quali si intravedev­a un effetto pantera. Allegra è sempre stata una convinta animalista e fu uno sforzo sovrumano farglielo accettare. Stessa reazione ci fu per un tappeto».

Da lei, a casa fatta, arrivò un imprimatur inaspettat­o: «Venne in visita Andy Warhol e si soffermò sulle pareti, rivestite con quello che credeva essere granito: «Voi italiani avete i migliori artigiani al mondo», disse mentre lo sfiorava. Per accorgersi che era invece un mio tessuto!». Mentre, da Paola del Belgio, che gli commission­ò una foresteria a Palazzo Reale, racconta di aver ricevuto un grande insegnamen­to: «Mi disse: “Ricordati, quando inizi un progetto, di vedere cosa contengono cantine e soffitte”. Per dire che tutto torna e il passato non va mai cancellato».

La passione per i giardini e la campagna, nata con la tenuta di Cetona, in Toscana. «Il luogo a cui oggi mi sento più affine. Non ho nozioni di botanica né di architettu­ra dei giardini, così l’ho fatto d’istinto. Poco progettato», spiega raccontand­o che fu quell’aspetto a piacere a Giulia Maria Crespi. «La colpì di non vedere lo stacco con la campagna». La sua tenuta, intera, sarà un lascito per il FAI: «Mi piace pensare che agli oggetti rimasti assieme per tanti anni, piaccia continuare a coabitare. Come le persone», sorride lui, raccontand­o delle amicizie, spina dorsale della sua vita. Ultima quella con Guido Taroni, autore di tutti gli scatti del libro: «Odio la routine: quando la intravedo, fuggo. Per questo volevo un giovane, appassiona­to. Che lavorasse con entusiasmo e dedizione. E sa una cosa? Oggi, rispetto a due anni fa, prima che cominciass­imo questo libro, mi sento più forte e carico di entusiasmo». Così conclude, preparando­si per fuggire a Napoli: un nuovo grande progetto sta per iniziare, in un museo. «Sono previsti due anni di lavori», dice ridendo, e lo sguardo gli risplende. Lui è pronto.

A caccia di sensazioni Quando entro per la prima volta in una casa nuova mi muovo come un rabdomante

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Nella foto grande in pagina, un ritratto di Federico Forquet con alcune sue collezioni. Qui nella fascia, da sinistra: uno dei due salotti della sua casa romana; un angolo del giardino della tenuta di Cetona; un suo abito da sera, del 1969, ambientato nell’interior realizzato per Palazzo Torlonia. A destra, una collezione di scatole a micro mosaico, una delle sue passioni (foto Guido Taroni)
L’arte del dettaglio Nella foto grande in pagina, un ritratto di Federico Forquet con alcune sue collezioni. Qui nella fascia, da sinistra: uno dei due salotti della sua casa romana; un angolo del giardino della tenuta di Cetona; un suo abito da sera, del 1969, ambientato nell’interior realizzato per Palazzo Torlonia. A destra, una collezione di scatole a micro mosaico, una delle sue passioni (foto Guido Taroni)
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