PERIFERIE, QUEL DOLORE DA CURARE
Il tasso di disoccupazione di Artena è il 17,3%, quello di Paliano il 20,3%: quasi il doppio di Roma. L’istituto Morano di Parco Verde, a Caivano, si batte contro uno dei livelli di dispersione scolastica più alti della Campania e, dunque, d’Italia. Ad Ardea la crisi s’è fatta business e anche i buoni spesa del Covid-19 sono finiti sul mercato nero. Ad Alatri da un paio d’anni la fame ha riportato in auge i furti di galline. Dati ed episodi che direbbero molto: e, tuttavia, sono rari da trovare nelle narrazioni dei nuovi orrori che salgono dalle pieghe del Paese. Il discorso pubblico tiene ormai in gran sospetto quasi ogni lettura sociale o economica della ferocia quotidiana.
La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie della scorsa legislatura ha messo nero su bianco che per riscattarci da questa ferocia dovremmo investire un miliardo l’anno per dieci anni su istruzione, infrastrutture, bonifica dei quartieri più disagiati. Ma, ancora oggi, avanzare l’ipotesi che i cosiddetti mostri della cronaca nera celino qualcosa di più complesso dietro il loro ghigno caricaturale, può costare l’accusa di garantismo peloso quando non, addirittura, di buonismo, l’addebito più infamante dei nostri tempi cupi. Frantumate le ideologie novecentesche, sembrano rotti anche gli occhiali che esse portavano in dote per decifrare gli avvenimenti. Dunque, la Cattiveria 4.0 assume un connotato puramente escatologico e pare attaccarsi agli umani come un virus, in modo oscuro e casuale, sfigurandoli in stereotipi negativi. Per dirla con un nome eterno: l’inspiegabile (e inspiegato) Franti del libro Cuore, prima della memorabile rilettura di Umberto Eco.
Ma è davvero così? Forse no, a guardar meglio. Esiste una consonanza, più forte del machismo da social o del maschilismo da sceneggiata napoletana, che lega posti come Artena e Caivano, Ardea e Alatri, solo volendo indugiare sugli ultimi luoghi di una geografia che ci appare spaventosa e incomprensibile. Scuole mai finite, redditi non giustificabili, una famiglia forse non povera di mezzi ma sprovvista di valori, i fratelli ora più detestati dai social, Marco e Gabriele Bianchi, sembrano avere più d’una prossimità fisiognomica con i picchiatori di Alatri che, il 25 marzo 2017, ammazzarono Emanuele Morganti, un innocente ventenne, davanti a decine di persone dopo una serata in discoteca, proprio come Willy Monteiro Duarte (anche qui, una lite da nulla, la cocaina a infiammare teste vuote, e il vuoto di piazze e strade dove è più facile spacciare che aprirsi una bottega).
Quel suono così simile è il grido di dolore delle nostre periferie. Attenzione: non solo geografiche, in quanto lontane da un centro, ma economiche, culturali; e persino esistenziali (come ricordò Jorge Mario Bergoglio ancora cardinale, spronando la Chiesa a entrarvi per cercare i nuovi ultimi, gli scarti della società). Il regista Daniele Vicari, che ha dedicato al delitto di Alatri uno spiazzante libro uscito per Einaudi, «Emanuele nella battaglia», coglie con molta efficacia l’elemento della serialità di questi eventi, resi irreali nella loro narrazione banalizzata, grazie alle parole che gli consegna la sorella di Emanuele, Melissa: «A me, Danie’, non mi sono mai piaciute le serie tipo Romanzo Criminale e Gomorra, so’ tutti fichi, tutti forti, tutti vincenti pure se so’ assassini e schiattano tutti, mah…». La realtà è noiosa, o faticosa da capire, meglio trasfigurarla in un eterno copione tv.
Pare che il papà della compagna di Gabriele Bianchi, un politico locale di Forza Italia, si sia rimproverato di non aver scoraggiato abbastanza la figlia, incinta di un samurai da fumetto che neanche a piangere azzeccava un congiuntivo. Ora, se è evidente che la confidenza con la grammatica non preserva dal cortocircuito della mente (gli assassini del Circeo venivano da ottime scuole del quartiere Trieste di Roma) è difficile non ritrovare quella nota comune negli orrori ricorrenti del Parco Verde di Caivano, oggi sfondo del dramma di Maria Paola Gaglione, ammazzata in scooter dal fratello perché innamorata di un ragazzo trans, e ieri, appena pochi anni fa, della morte atroce di due bambini abusati. Parco Verde è un esperimento andato storto (come Scampia a Napoli, Corviale a Roma o lo Zen di Palermo): un falansterio di periferia occupato anche urbanisticamente dall’illegalità. E nelle periferie, o nella vecchia provincia diventata adesso periferia della periferia, si combatte da anni una guerra civile a bassa intensità: dentro le trincee degli alloggi popolari, dei mezzi pubblici, ma anche delle discoteche o dei parcheggi. Per un parcheggio, ad Ardea, periferia problematica della città metropolitana di Roma, la campionessa di basket paralimpico Beatrice Ion è stata insultata sanguinosamente da un razzista che ha spedito in ospedale suo padre, accorso per proteggerla. L’infamia più recente, in una serie che pare infinita, è il pestaggio di un settantenne veneto, unico a intervenire in strada per difendere una ragazza.
Certo, il vuoto peggiore è il vuoto di senso. Dopo la morte di Willy, uno degli ultimi grandi vecchi della Repubblica, Emanuele Macaluso, si è chiesto quale sia «la vita sociale in tanti comuni, e non solo nel Mezzogiorno», svaniti i partiti come centri di aggregazione e in affanno anche la Chiesa, nonostante il monito di Francesco. Non tutto si risolve con l’intervento pubblico. Ma la legislatura nata dalle elezioni del 2018 non è partita bene, dissolvendo in coriandoli i due miliardi del Bando Periferie voluto da Renzi e Gentiloni e cancellando la Commissione parlamentare d’inchiesta. Nel programma di resurrezione del dopo Covid-19 la scuola avrà un posto di primo piano, ci dicono tutti. Antonio Polito su queste colonne ne ha rammentato l’importanza come antidoto al nichilismo. Più soldi sulle scuole (soprattutto nei quartieri del disagio) e più prestigio per i docenti non riscatteranno ormai Gabriele Bianchi, colpevole o innocente che venga giudicato. Ma aiuteranno suo figlio a distinguere tra un videogioco da combattimento e una rissa letale, tra la maschera grottesca di Genny Savastano e la maschera di dolore di un uomo in carne e ossa.
Complessità La ferocia dei nostri giorni non è un virus che colpisce in modo oscuro e casuale ma una conseguenza