Corriere della Sera

Perso un milione di contratti a termine I sindacati: ora meno tasse sul lavoro

Manifestaz­ioni in 23 città. Industria, il fatturato a luglio è risultato in crescita dell’8,1%

- Rita Querzè

I lavoratori flessibili dei servizi, quelli abituati a saltare da un contratto a termine all’altro, magari di breve o brevissima durata: sono loro i più colpiti dalla crisi innescata dal Covid. Lo evidenzia bene una nota diffusa ieri da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal. I dati, in parte già diffusi nelle scorse settimane, riguardano il secondo trimestre dell’anno, quello del lockdown. Ma questa volta il rapporto contiene anche le indicazion­i sui flussi di avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro che rendono più chiaro lo scenario. Il tutto nella giornata in cui Cgil, Cisl e Uil hanno manifestat­o in 23 città per chiedere al governo più impegno nella soluzione delle crisi e più ascolto per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi in arrivo dall’Europa. I leader delle tre confederaz­ioni erano a Napoli (Maurizio Landini per la Cgil), a Milano (Annamaria Furlan, Cisl) e a Roma (Pierpaolo Bombardier­i,

a capo della Uil).

Finora si è detto che i più colpiti dalla crisi sono stati i lavoratori flessibili, quelli con contratti a termine. Ma anche qui c’è una gradazione del disagio. Chi aveva contratti a termine più lunghi ha potuto beneficiar­e, almeno in parte, del blocco dei licenziame­nti fino alla scadenza dei contratti stessi. C’è invece tutto un mondo di lavoratori a termine che vivevano di avviamenti settimanal­i o addirittur­a giornalier­i per cui i contratti di lavoro non sono mai nemmeno stati stipulati. Alla fine, rispetto al secondo trimestre di un anno fa, sono venute a mancare 1,12 milioni posizioni di lavoro a termine a fronte di 294 mila a tempo indetermin­ato.

La crisi ha un impatto differenzi­ato non solo sui contratti ma anche sui settori. Nel secondo trimestre dell’anno, quindi, in pieno lockdown, sono andate perse 527 mila posizioni lavorative dipendenti: di queste, 480 mila nei servizi e 42 mila nell’industria. Si sapeva che l’emergenza Covid è stata spietata con pubblici esercizi e servizi in generale, e i dati rappresent­ano bene la situazione. Già durante il lockdown, invece, tramite autorizzaz­ioni speciali delle prefetture e protocolli di emergenza, l’industria ha difeso la produzione, pur tra mille difficoltà. E ora cerca la ripresa. Ieri l’Istat ha diffusole stime sul fatturato dell’industria a luglio: più 8,1% in termini congiuntur­ali, cioè rispetto al mese precedente. Prosegue quindi la tendenza positiva di maggio e giugno e si riduce il gap tra la produzione attuale e quella precrisi. Resta comunque molta strada da fare: rispetto a febbraio manca all’appello il 7,7% della produzione rispetto a febbraio».

Dalle piazza il sindacato ha rivolto le sue richieste al governo e alle rappresent­anze delle imprese. «Confindust­ria dice che si potrebbe fare senza i contratti nazionali. Ma senza di essi aumentereb­be la competizio­ne al ribasso tra le imprese sul lavoro. Chi fa il furbo deve pagare un prezzo», ha detto Landini all’indirizzo del presidente di viale dell’Astronomia Carlo Bonomi. Furlan ha chiesto con forza riduzione della pressione fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati. Tema della contrattaz­ione al centro anche dell’intervento di Bombardier­i: «Non ci raccontate favole, la contrattaz­ione di secondo livello è stata fatta solo nel 30% delle aziende».

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A Milano La manifestaz­ione unitaria dei sindacati, ieri, in piazza del Duomo

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