Corriere della Sera

La rabbia di Russell

Il premio Oscar protagonis­ta al cinema di «Il giorno sbagliato» Crowe: «Oggi le conversazi­oni civili sono difficili Il lockdown mi ha insegnato a fare a meno degli altri»

- Francesca Scorcucchi

C’è l’impiegato di un hotel di Manhattan che conosce la rabbia di Russell Crowe. Nel 2004 l’attore gli lanciò, ferendolo, un telefono e un vaso di fiori. Un episodio di furore gratuito che alla fine non ebbe gravi conseguenz­e. All’impiegato arrivò una somma di denaro — abbastanza consistent­e da indurlo a ritirare la denuncia — e Crowe davanti al giudice se la cavò con una multa.

Non che quell’episodio sia stato determinan­te per la scelta del regista, Derrick Borte, in cerca del protagonis­ta del thriller Il giorno sbagliato, eppure Crowe, in quella parte di uomo al volante follemente arrabbiato, sembra perfetto ancora prima di vederlo recitare. Alcuni hanno paragonato il film, in uscita in Italia il 24 settembre, a Un giorno di ordinaria follia, con Michael Douglas vittima di un analogo episodio di road rage, di rabbia stradale. E Russell Crowe non voleva interpreta­rlo: «Non ero affatto sicuro di questo film e non capivo il perché. Poi mi sono reso conto che ciò che mi spaventava è il suo realismo. Si tratta di una storia che può essere sorprenden­temente vera, che la rabbia gratuita e incontenib­ile può succedere e succede. Cosa stavo leggendo in quel copione non era un film di genere ma un commento a dove siamo oggi, una società nella quale si spara nelle scuole o a un concerto. In un mondo che ci costringe in spazi sempre più angusti è normale che per qualcuno scatti questo tipo di rabbia». Lo dice uno che a volte si fa sorprender­e a malmenare i paparazzi, da cui si dice perseguita­to: «Sfido chiunque nella mia posizione a non essere irritato da certi comportame­nti. Una volta in un negozio ho dovuto chiamare la polizia perché i fotografi bloccavano il mio passaggio e, quel che è più grave, quello dei miei figli».

È per questo che Crowe, di tanto in tanto si rifugia nella sua amata Australia. «Los Angeles

per me è l’ufficio e non mi piace dormire in ufficio». L’attore neozelande­se ha una proprietà nei boschi australian­i e li si è fermato, insieme ai vecchi genitori, durante il periodo del lockdown: «Ho assaporato una vita con meno responsabi­lità e meno voli verso altri posti, non mi è pesato. Faccio auto-isolamento periodico da trent’anni. Capisco che per tanta gente gli ultimi mesi siano stati duri ma io ho imparato molto bene a fare a meno degli altri».

La fama gli è sempre stata stretta: «Tutta la parte creativa della mia vita è stata rovinata dall’essere famoso. Prima ero un osservator­e, un contemplat­ore, una di quelle persone che scivolano via nelle situazioni, che vi entrano e vi escono, osservando tutto quello che c’è da vedere, cercando di capire. Ma questo modo di vivere mi è stato portato via dal successo. Dopo aver vinto l’Oscar (per Il gladiatore nel 2001, ndr) sono stato sbalzato in un’altra dimensione, in uno spazio differente. Ora quel vecchio spazio segreto non mi appartiene più e non c’è modo di tornare indietro».

Anche il personaggi­o del film, cui non viene dato nemmeno un nome e nei crediti è indicato come The Man, non potrà tornare indietro. Per lui però non ci sono giustifica­zioni: «Io e il regista abbiamo convenuto che non dovevamo creare scuse per il suo comportame­nto».

"La parte creativa della mia vita è stata rovinata dall’essere famoso. Prima ero un osservator­e, un contemplat­ore: questo modo di vivere mi è stato portato via dal successo

Il racconto suggerisce che non ha avuto una vita facile, che un divorzio sta pesando sulle sue spalle. E Crowe sa cosa vuol dire, ma sa anche che non è una ragione per certe azioni: «Il divorzio è punitivo per un essere umano, è difficile per tutti, ma è solo uno dei molti ostacoli della vita. Ci sono tanti elementi che agiscono nella mente di quell’uomo, la sua rabbia per me non è un’esperienza individual­e ma è il frutto del momento che stiamo vivendo». Un momento senza dialogo: «Una volta, non importa quali idee tu avessi, a quale parte dello spettro politico appartenes­si, c’era modo di dialogare. Ora la società è formata da due fazioni contrappos­te che hanno perso la capacità di ascolto. Non c’è modo di avere una conversazi­one civile con chi non la pensa come te e non facciamo che peggiorare».

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«Il giorno sbagliato». Il film sarà nelle sale italiane dal 24 settembre
Sul set Russell Crowe con il regista Derrick Borte sul set di «Il giorno sbagliato». Il film sarà nelle sale italiane dal 24 settembre
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Il premio Oscar Russell Crowe (56 anni) afferra per la cravatta l’avvocato Andy (Jimmi Simpson, 44) in una scena di «Il giorno sbagliato», thriller psicologic­o diretto da Derrick Borte
Minaccioso Il premio Oscar Russell Crowe (56 anni) afferra per la cravatta l’avvocato Andy (Jimmi Simpson, 44) in una scena di «Il giorno sbagliato», thriller psicologic­o diretto da Derrick Borte

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