La rabbia di Russell
Il premio Oscar protagonista al cinema di «Il giorno sbagliato» Crowe: «Oggi le conversazioni civili sono difficili Il lockdown mi ha insegnato a fare a meno degli altri»
C’è l’impiegato di un hotel di Manhattan che conosce la rabbia di Russell Crowe. Nel 2004 l’attore gli lanciò, ferendolo, un telefono e un vaso di fiori. Un episodio di furore gratuito che alla fine non ebbe gravi conseguenze. All’impiegato arrivò una somma di denaro — abbastanza consistente da indurlo a ritirare la denuncia — e Crowe davanti al giudice se la cavò con una multa.
Non che quell’episodio sia stato determinante per la scelta del regista, Derrick Borte, in cerca del protagonista del thriller Il giorno sbagliato, eppure Crowe, in quella parte di uomo al volante follemente arrabbiato, sembra perfetto ancora prima di vederlo recitare. Alcuni hanno paragonato il film, in uscita in Italia il 24 settembre, a Un giorno di ordinaria follia, con Michael Douglas vittima di un analogo episodio di road rage, di rabbia stradale. E Russell Crowe non voleva interpretarlo: «Non ero affatto sicuro di questo film e non capivo il perché. Poi mi sono reso conto che ciò che mi spaventava è il suo realismo. Si tratta di una storia che può essere sorprendentemente vera, che la rabbia gratuita e incontenibile può succedere e succede. Cosa stavo leggendo in quel copione non era un film di genere ma un commento a dove siamo oggi, una società nella quale si spara nelle scuole o a un concerto. In un mondo che ci costringe in spazi sempre più angusti è normale che per qualcuno scatti questo tipo di rabbia». Lo dice uno che a volte si fa sorprendere a malmenare i paparazzi, da cui si dice perseguitato: «Sfido chiunque nella mia posizione a non essere irritato da certi comportamenti. Una volta in un negozio ho dovuto chiamare la polizia perché i fotografi bloccavano il mio passaggio e, quel che è più grave, quello dei miei figli».
È per questo che Crowe, di tanto in tanto si rifugia nella sua amata Australia. «Los Angeles
per me è l’ufficio e non mi piace dormire in ufficio». L’attore neozelandese ha una proprietà nei boschi australiani e li si è fermato, insieme ai vecchi genitori, durante il periodo del lockdown: «Ho assaporato una vita con meno responsabilità e meno voli verso altri posti, non mi è pesato. Faccio auto-isolamento periodico da trent’anni. Capisco che per tanta gente gli ultimi mesi siano stati duri ma io ho imparato molto bene a fare a meno degli altri».
La fama gli è sempre stata stretta: «Tutta la parte creativa della mia vita è stata rovinata dall’essere famoso. Prima ero un osservatore, un contemplatore, una di quelle persone che scivolano via nelle situazioni, che vi entrano e vi escono, osservando tutto quello che c’è da vedere, cercando di capire. Ma questo modo di vivere mi è stato portato via dal successo. Dopo aver vinto l’Oscar (per Il gladiatore nel 2001, ndr) sono stato sbalzato in un’altra dimensione, in uno spazio differente. Ora quel vecchio spazio segreto non mi appartiene più e non c’è modo di tornare indietro».
Anche il personaggio del film, cui non viene dato nemmeno un nome e nei crediti è indicato come The Man, non potrà tornare indietro. Per lui però non ci sono giustificazioni: «Io e il regista abbiamo convenuto che non dovevamo creare scuse per il suo comportamento».
"La parte creativa della mia vita è stata rovinata dall’essere famoso. Prima ero un osservatore, un contemplatore: questo modo di vivere mi è stato portato via dal successo
Il racconto suggerisce che non ha avuto una vita facile, che un divorzio sta pesando sulle sue spalle. E Crowe sa cosa vuol dire, ma sa anche che non è una ragione per certe azioni: «Il divorzio è punitivo per un essere umano, è difficile per tutti, ma è solo uno dei molti ostacoli della vita. Ci sono tanti elementi che agiscono nella mente di quell’uomo, la sua rabbia per me non è un’esperienza individuale ma è il frutto del momento che stiamo vivendo». Un momento senza dialogo: «Una volta, non importa quali idee tu avessi, a quale parte dello spettro politico appartenessi, c’era modo di dialogare. Ora la società è formata da due fazioni contrapposte che hanno perso la capacità di ascolto. Non c’è modo di avere una conversazione civile con chi non la pensa come te e non facciamo che peggiorare».