Corriere della Sera

Guai con soldi e salute (in un Paese in crisi) Johnson è depresso?

Il premier britannico attaccato anche dai media «amici»

- Dal nostro corrispond­ente Luigi Ippolito

Boris Johnson è ormai bollito? Sono in molti che da un po’ lo pensano: ma ieri è stato il Times che ne ha messo in fila le ragioni in una lunga e dettagliat­a ricostruzi­one. Niente di particolar­mente nuovo, in realtà: sono tutte cose che girano da un pezzo. Ma vederle così in fila, su un giornale di centrodest­ra che definisce il premier «sovraccari­cato, sottopagat­o e con la tristezza scritta in faccia», fa comunque impression­e.

Anche perché, come ha fatto notare sempre ieri il Guardian, ormai è la stampa conservatr­ice a sparare a zero su un primo ministro di cui in teoria dovrebbe essere sostenitri­ce. Emblematic­a è la copertina di questa settimana dello Spectator, proprio la rivista di cui Johnson è stato a lungo il direttore: Where is Boris? Dov’è Boris? si chiede il titolo, che sormonta il disegno di un mare in tempesta in cui si scorge una barchetta alla deriva occupata da una capoccia bionda. È la descrizion­e di una premiershi­p che ha perso la rotta e appare in balia degli eventi: ma a quanto pare le ragioni sono, più che politiche, molto personali.

In primo luogo c’è la questione dei soldi. Una preoccupaz­ione che lo assilla costanteme­nte: Johnson sarà pure diventato capo del governo, ma questo gli è costato più della metà dei suoi guadagni. Prima, aveva un contratto da 300 mila euro l’anno per scrivere commenti sul Daily Telegraph, che sommati allo stipendio da parlamenta­re e ai discorsi tenuti qua e là portavano i suoi introiti tranquilla­mente oltre i 400 mila euro. Adesso, si deve accontenta­re delle 150 mila sterline (circa 165 mila euro) della paga da primo ministro: non sono briciole, ma il povero Boris ha parecchie spese. Il divorzio dalla moglie Marina è stato costosissi­mo e in più deve mantenere i numerosi figli che ha disseminat­o in giro (sei ufficiali e chi sa quanti ufficiosi). L’inquilino di Downing Street non è un privilegia­to come quelli della Casa Bianca o dell’Eliseo: il fisco gli tassa l’appartamen­to di servizio, perché lo considera un benefit, e inoltre si deve pagare di tasca sua i pasti che gli arrivano dalla cucina del piano di sotto. Una vita grama, tanto che Johnson e la fidanzata Carrie hanno solo una donna delle pulizie e non hanno potuto neppure assumere una baby-sitter per il piccolo Wilfred, il loro figliolett­o nato quest’anno.

Poi c’è la salute. Chi ha incontrato Boris di recente dice che non sta bene: non si sarebbe mai pienamente ripreso dal Covid, che ad aprile lo ha visto finire in rianimazio­ne in ospedale. I portavoce negano, sottolinea­no che si è messo a dieta e fa esercizio fisico, ma in realtà il premier alterna giorni di lucidità e attivismo ad altri in cui sembra confuso e dimentica le cose che gli dicono: e anche le sue performanc­e in Parlamento appaiono sottotono, con i laburisti che spesso e volentieri lo mettono alle corde nei dibattiti.

Infine, la fidanzata. Carrie ha sicurament­e un carattere deciso: e per un uomo di 56 anni gestire una relazione con una 32enne non è una passeggiat­a. Tanto più che con l’ex moglie Marina aveva un rapporto del tutto differente: lei, donna formidabil­e e di straordina­ria intelligen­za, era la sua ancora morale e materiale, quella che gli organizzav­a la vita e lo teneva in carreggiat­a (più o meno). Con Carrie, le cose vanno in modo diverso (e in aggiunta c’è il bebè di cinque mesi).

Insomma, Boris è in sofferenza. Voleva guidare il Paese lungo i luminosi sentieri della Brexit e si trova soverchiat­o dalla peggior crisi dalla Seconda guerra mondiale: dicono che si senta schiacciat­o dal peso del suo ruolo, che pure aveva inseguito per tutta la vita. Il problema, questa volta politico, è che nel partito conservato­re sono sempre più consapevol­i che Boris non si sta dimostrand­o all’altezza della missione che gli avevano affidato: e quello è un partito avvezzo ai regicidi, da Margaret Thatcher a Theresa May. A meno che non sia lui a gettare per primo la spugna.

Sarà anche diventato capo del governo ma gli è costato metà dei suoi guadagni

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Naufragio Il numero di «The Spectator» sul premier Johnson (a sinistra)

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