LE CORDE DELL’ESTRO
SATANICO, ANZI UMANO, SENSIBILE E SCIENTIFICO CREMONA RILANCIA TARTINI, GIGANTE DEL VIOLINO
L’appuntamento L’omaggio al compositore passato alla storia per «Il trillo del diavolo» apre lo STRADIVARIfestival: sei concerti di grandi solisti, sei preziosi «racconti» della storia della liuteria
Ah sì, quello che ha scritto Il trillo del diavolo. L’etichetta, per Giuseppe Tartini, è bell’e pronta. Tutti conoscono il compositore istriano per il finale della famosa Sonata in sol minore, la sua opera più eseguita. Un’icona, anche nella cultura pop: nel fumetto L’alba dei morti viventi, persino Dylan Dog, coinvolto in una storiona di zombi, per svagarsi, in treno tira fuori il suo clarinetto e suona Il trillo del diavolo. Come faccia non si sa, visto che il violino, nell’originale, esegue due voci: una melodia e un «bordone» di trilli...
Il che moltiplica la nostra gratitudine verso lo Stradivari Festival che, nel celebrare Tartini (1692-1770) a 250 anni dalla morte, non programma questa Sonata: bensì, il 2 ottobre, solista Dmitry Sinkovsky, un Concerto per violino di raro ascolto, il D 115, in la minore, dedicato a Lunardo Venier, senatore veneziano, musicofilo e mecenate.
Giusto. Tartini merita una riproposizione ben più capillare e variegata. Nella vita concertistica come nel nostro immaginario. Vogliamo riconoscerlo ben oltre il Trillo, o il curioso profilo: quella «soverchia prominenza nasale» che Michelangelo Abbado, celiando, indicò come caratteristica comune ai maggiori violinisti-compositori italiani, Geminiani, Pugnani, Paganini.
Colpa sua, si dirà. La storiella del diavolo, è stato Tartini stesso a raccontarla: in tarda età, all’astronomo francese Jérôme de Lalande. Aveva fatto un sogno: che il demonio, al suo servizio, gli intonasse «una sonata così singolarmente bella, eseguita con tale maestria e intelligenza» da mozzargli il fiato. E spingerlo a tentare l’impossibile trascrizione. Di qui la nefasta associazione, romantica e paganiniana, tra virtuosismo violinistico e apporto diabolico. Mentre il «sogno» sembra piuttosto l’allegoria di un sfida quasi mistica tra l’uomo e il sublime, la conquista di una Bellezza irraggiungibile.
Tartini è l'opposto d’un musicista satanico. Avviato alla
Il ritratto Giuseppe Tartini in un dipinto anonimo del XVIII sec. Pinacoteca del Castello Sforzesco, Copyright Comune di Milano, tutti i diritti riservati (Foto Mauro Ranzani, 2019) vita ecclesiastica come frate minore, va a Padova a studiare diritto. In realtà, pensa di più alla scherma. E a una donna. Per amore abbandona tutto, università, abito talare, carriera sicura: sposa Elisabetta, ragazza assai povera, ma subito, per sfuggire alla famiglia, poco lieta della svolta, lascia (per breve tempo) la moglie a Padova e si rifugia in convento, ad Assisi, da uno zio frate. «Folgorato» dal suono di un violinista eccentrico e soave, Antonio Veracini (ad Ancona, tra il 1716 e il 1717), si butta nello studio matto e disperatissimo del violino; poi torna a Padova, a suonare nella Basilica del Santo, e qui resta sino alla fine, a parte una poco proficua parentesi a Praga: «ridotto così pieno di malanni, che sono forzato a star sempre con li medicamenti in mano», «l’aria e li cibi e le genti mi sono contrarie»...
Negli anni, lo stile che Tartini affina va dal virtuosismo alla «sensibilità», dalla pirotecnia al canto. Quella che con lui si consolida, è la dimensione del violino come mimesi della voce umana: lieve, naturale, trasparente vettore di affetti. Agli allievi della sua scuola, in arrivo da tutto il mondo, Tartini raccomanda leggerezza e semplicità. «Primo studio deve esser l’appoggio dell’arco sulla corda siffattamente leggiero, che il primo principio della nota che si cava sia come un fiato e non come una percossa».
La sua musica va articolandosi per melodie concatenate come vere «frasi». L’adesione alla natura lo porta da un lato ad attingere a canti e balli veneto-istriani, «contadineschi» o popolari (come l’«Aria del Tasso», intonata dai gondolieri veneziani); dall’altro, a dedicarsi sempre più alla ricerca scientifica, autore di poderosi trattati di acustica e armonia, comprese una polemica con Rousseau e la scoperta del «terzo suono» (prodotto dalla combinazione di altri due). Eppure: con tutta la sua passione nel sondare i segreti matematici della musica, Tartini, per noi, resta un uomo per certi aspetti ancora misterioso. Oltre che per gli autografi senza data, che fanno impazzire i musicologi, per le citazioni che appone su molti spartiti: criptate, in un alfabeto di sua invenzione, decodificato solo di recente. Citazioni innocenti, arie di Metastasio, ma avvertite forse come improprie, nel contesto comunque sacro della sua attività al Santo di Padova. Dove il diavolo di certo non trilla.
Oltre il virtuosismo
«Come un fiato»: fu lui a sviluppare l’idea dello strumento mimesi della voce umana