Corriere della Sera

Amo dialogare con gli archi La loro «tenuta» mi fa invidia

- di Beatrice Rana

Quando ero piccola il mio insegnante mi ripeteva sempre un motto: «Non dobbiamo diventare pianisti ma illusionis­ti: dare l’illusione di cantare le note e di farle durare tanto». In queste parole c’è la grande differenza tra il pianoforte e gli strumenti ad arco: il primo è uno strumento a percussion­e, colpisce le corde con i martellett­i azionati dagli 88 tasti, così i suoni che produce non possono durante tanto, anche col pedale di risonanza sono destinati ad affievolir­si; invece un violino o un violoncell­o possono «tenere» un suono, crescendo o diminuendo d’intensità a piacimento. Noi pianisti siamo continuame­nte alla ricerca del modo di dare l’illusione di poter suonare come uno strumento ad arco, ma sarà sempre un’illusione, una imitazione impossibil­e, e confesso che questo mi suscita parecchia invidia. Mi ricordo ancora quando mia sorella Ludovica scelse il violoncell­o; i miei genitori sono entrambi pianisti e anch’io iniziai col pianoforte, senza pensarci, consideran­dolo l’unica opzione possibile. Poi quando sentii Ludovica suonare rimasi a tal punto sbalordita che volli poter cantare anch’io con uno strumento; abbiamo una zia violinista e le chiesi di darmi qualche lezione, ma capii ben presto di essere meno portata rispetto al piano e lasciai stare. Per questo mi piace sempre suonare con violini e violoncell­i, durante il lockdown l’ho fatto spesso con mia sorella: ci aiuta ad aumentare la cantabilit­à dello strumento, ci porta a suonare frasi lunghe e legate; a nostra volta possiamo arricchire le loro frasi con una profondità e una ricchezza armonica che solo il pianoforte può realizzare. Potessi suonare un brano per arco non avrei dubbi: il concerto per violino di Ciajkovski­j! Nel primo movimento userei uno Stradivari, per la Canzonetta un Amati e come finale un Guarneri del Gesù. (Testo raccolto da Enrico Parola)

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