La linea dura e l’alleanza Vasco-Ferrara
L’uno eleva l’altro a «sommo e divagante eroe della vita che scansa pericoli, le esagerazioni e la maleducazione», oltre a segnalarlo a Mattarella perché lo nomini «Cavaliere di Gran Croce o forse anche Cavaliere del lavoro». L’altro ricambia con un video in cui ringrazia l’uno, segnalandogli che «mi fa piacere che siamo sulla stessa lunghezza d’onda in questo periodo». L’uno e l’altro sono una coppia così assortita che soltanto il dibattito sulla libertà ai tempi di una pandemia poteva mettere assieme, anche se distanziati. L’uno è Giuliano Ferrara, l’altro è Vasco Rossi. Strano ma vero, finiscono per trovarsi dalla stessa parte dalla barricata proprio nei giorni in cui il fondatore del
Foglio, sostenitore del «sì» al referendum, aveva provocatoriamente infilato nello stesso albero genealogico la battaglia antipartitocratica dei Radicali di Marco Pannella, da sempre l’unica «casa» politica del rocker di Zocca, e l’antipolitica del duo Crimi-Di Maio. A far guadagnare a Vasco un posto nel personalissimo pantheon di Ferrara — c’è anche una bozza di epigrafe: «A Blasco che da mistagogo della religione della gioventù si fa pedagogo e maestro di vita adulta» — è stata la battaglia sull’uso delle mascherine che il Komandante (si faceva chiamare così da prima di Salvini, con la «k» però) sta portando avanti anche a dispetto di chi gli rinfaccia una senilità decisamente meno spericolata di quella «vita» che canta e decanta da quasi quarant’anni. Quando legge «mistagogo», Vasco avverte i fan dei suoi social che «ci vuole il vocabolario ma ne vale la pena, sì». Magari avrà sorvolato sulla riga in cui Ferrara lo associa a «un bevitore di Lambrusco al Roxy Bar». Non per il Roxy Bar, ma per il Lambrusco. Quello era Ligabue, nelle canzoni di Vasco ci sono whisky e bollicine. Lambrusco mai.