Condannato perché aiutò il boss in fuga Perde l’assegno
Era finito nell’inchiesta «Maginot», quella che aveva colpito i fiancheggiatori della latitanza del boss Giuseppe Falsone, detto «Ling Ling». L’indagine su picciotti e capifamiglia che avevano appoggiato il boss latitante in Francia aveva portato a una serie di arresti da parte della Dda di Palermo nel 2011 ed era poi sfociata nel processo penale conclusosi a Sciacca con una sfilza di condanne per mafia. Lui, Carmelo Cacciatore, si era preso otto anni. Ha finito di scontare la sua pena un paio di anni fa. E adesso percepiva il reddito di cittadinanza. Ma ancora una volta gli inquirenti si sono occupati di lui. E ancora una volta si è trovato in abbondante compagnia. Tra gli altri, di Ignazio Sicilia, anche lui con una condanna per mafia alle spalle, a ben dodici anni, emessa nell’ambito del processo che seguì alla famosa operazione «San Calogero» sulla mafia agrigentina.
Cacciatore, 55 anni, e Sicilia, 45, sono due delle undici persone con trascorsi giudiziari legati alla mafia indagate dalla procura di Agrigento perché avrebbero indebitamente percepito il sussidio. Le loro social card sono state sequestrate nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e dal sostituto Gloria Andreoli che vede complessivamente indagate 69 persone che a vario titolo avrebbero indebitamente ottenuto il reddito di cittadinanza. Dell’indagine si è appreso ieri.
Ignazio Sicilia un paio di anni fa tornò nei guai perché delle telecamere lo ripresero mentre appiccava il fuoco a un ristorante. Ma il suo fermo fu rigettato in quel caso. Cacciatore, detto «Ciruzza», era finito alla sbarra insieme ad altri presunti fiancheggiatori di Falsone. E a Falsone stesso. Che però in questo procedimento venne assolto in appello. Non andò altrettanto bene a Ciruzza, che in secondo grado vide confermata la condanna a otto anni.