«Io e mia madre nella Rsa, separate da un plexiglas»
Ho la mamma in una Rsa di nome «Fondazione Cella di Rivara», ad Arena Po (Pv). Pensavo che fosse quasi finito il periodo più brutto della loro vita sospesa, senza affetti familiari. Invece no. Dal 21 settembre si entra in uno squallido corridoio di collegamento tra due residenze, separati da un plexiglas (mia mamma non ha voce causa Parkinson) per soli 15 minuti. Questa situazione mi fa venire i brividi, perché so che quando arrivo da lei è già finito il momento, anzi non esiste proprio e lo sa anche lei. Intanto la scuola è ripresa, i mezzi sono stracolmi e tanti dimenticano la mascherina. E io vedo mia madre così, qualcosa che assomiglia a una prigione, però una prigione a pagamento, perché tra il primo e il quinto giorno del mese si devolve la retta a una amministrazione che dice di avere la responsabilità degli ospiti. Spesso cambiano le regole senza mostrare mai un protocollo adottato, tanto io sono solo la figlia con una procura notarile generale. I parenti sembrano essere portatori di Covid, il personale no. In questo ultimo periodo ho notato un forte turnover per gli operatori sanitari, forse per ferie, malattia, quarantene. Chissà. Entrano anche i nuovi ospiti residenti. Ne escono alcuni, invece, per visite specialistiche, accompagnati spesso in auto con la famiglia, 3-4 persone sulla stessa auto. Incongruenza, no? Magari fanno i test, voglio essere in buona fede. Ho detto che io pure lo farei, a mie spese, anche uno a settimana per vedere mia madre, oltre alla mascherina, alla visiera, ai guanti, alla tuta. E invece no. I nostri cari non possono ricevere nemmeno con il distanziamento i sacerdoti, invece la parrucchiera può entrare come prima. Possibile che per loro la fase 1 non sia davvero passata?
La madre della lettrice si trova in una Rsa. Lei vorrebbe poterla incontrare senza la separazione del plexiglas e per più di 15 minuti