La riforma fiscale sia organica (ma non da zero)
Ricordare i percorsi avviati serve ad assumere una visione ampia e prospettica
La necessità di una riforma fiscale è evidente. Sia però organica e non parta da zero.
Nell’intervento a Cernobbio del 5 settembre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sostenuto la necessità di una riforma fiscale. In particolare, Conte ha affermato che «sono decenni, circa 40 anni, che il nostro sistema fiscale non gode di una riforma organica, sistemica». È importante che il presidente del Consiglio riconosca l’esigenza, ormai sottolineata da moltissime parti, di una riforma fiscale organica. Sembra consolidarsi l’auspicio che venga presto attuata.
È senz’altro condivisibile e opportuno che una riforma fiscale sia concepita in modo organico, vagliata da esperti della materia che padroneggino i tecnicismi propri del Fisco, che non sia ispirata da pulsioni elettorali né guidata dall’azione di gruppi di pressione, ma che abbia a riferimento un disegno complessivo, funzionale alla crescita sostenibile. E che migliori la distribuzione del carico fiscale, ispirandosi a principi di equità. Tuttavia stupisce che nel dibattito corrente tenda a prevalere l’idea che in Italia, dopo la riforma Cosciani del 1972-73, cioè negli ultimi cinquanta anni, non sia stato attuato e neppure tentato alcun disegno di riforma e si siano succeduti solo interventi parziali, disorganici, privi di una visione d’insieme. Da ultimo si esprime in questo senso Carlo Cottarelli («Tagliamo la giungla fiscale», Repubblica, 1° ottobre). Indubbiamente pesa l’esperienza di questi ultimi anni, in particolare dell’ultimo quinquennio. Ma, come sottolinea Daniele Manca in un editoriale del 9 settembre sul Corriere della Sera, sarebbe utile guardare al passato meno recente. Manca cita Vanoni ed Einaudi, ma non occorre risalire così indietro.
Colpisce che si sia persa memoria degli interventi sistemici di riforma delineati e in buona misura attuati negli ultimi venticinque anni. Ad esempio, della riforma attuata alla fine degli anni novanta dal primo centrosinistra, promossa da Vincenzo Visco, con l’istituzione di un regime duale di tassazione dei redditi; con lo statuto del contribuente; con la soppressione dell’Ilor, dell’imposta patrimoniale sulle imprese, dei contributi sanitari, della tassa sulla salute, dell’Iciap e l’istituzione dell’Irap; con la revisione della tassazione dei redditi finanziari; con il potenziamento dell’autonomia fiscale degli enti locali e delle regioni; con l’avvio degli studi di settore; con il potenziamento del Fisco telematico; con la riforma del diritto penale tributario; con l’istituzione delle agenzie fiscali e la conseguente riforma dell’amministrazione finanziaria.
Né sembra esservi memoria del disegno di riforma delineato negli anni 2000 da Giulio Tremonti, con il suo Libro Bianco, («dalle persone alle cose», «dal complesso al semplice», «dal centro alla periferia»), che almeno in parte venne attuato . In particolare, fu rivista la tassazione delle società, con l’istituzione dell’Ires e l’introduzione della participation exemption, e fu riformata la tassazione locale, istituendo l’Imu. Recentemente Tremonti (Sole 24 Ore del 9 settembre) ha sottolineato l’importanza di distinguere tra una vera riforma fiscale e una semplice manovra.
Poco prima, Francesco Giavazzi («I passaggi necessari sul Fisco», Corriere della Sera, 30 giugno), esprimendosi anch’egli a favore di una riforma fiscale organica, elaborata da «esperti», ha ricordato l’inasprimento della tassazione sugli immobili attuata dal governo Monti. Giavazzi la menzionava come misura di risanamento dei conti pubblici: una «manovra», quindi, non una «riforma». In effetti il decreto salva Italia del dicembre 2011 anticipò di un anno l’entrata in vigore dell’Imu, già prevista per il 2014 dalla legge istitutiva approvata su iniziativa del governo Berlusconi. Ma va anche ricordato che l’anticipo dell’Imu e la maggiorazione delle rendite catastali non furono dettati esclusivamente da motivi di gettito e di risanamento dei conti pubblici. Erano parte di un disegno di riequilibrio del carico fiscale: l’aumento del prelievo sul patrimonio immobiliare e su quello finanziario (fu istituita la patrimoniale sui depositi e sulle attività finanziarie) e sui consumi (Iva e accise) servì anche a finanziare sgravi sulla produzione. Con lo stesso decreto Salva-Italia fu infatti istituita l’Ace, importante misura per favorire la capitalizzazione e la crescita delle imprese, e fu ridotto il costo del lavoro, con sgravi selettivi sull’Irap (personale femminile e giovani). Spostare il carico fiscale dalla produzione ai consumi e al patrimonio era funzionale alla crescita, attuava una fiscal devaluation.
Ma rivedere la distribuzione del carico fiscale non è certo sufficiente per attuare una riforma fiscale, occorre agire su molti altri fronti. La semplificazione, il contrasto all’evasione, la riduzione dell’uso del contante, l’archivio dei conti finanziari, la fatturazione elettronica, la revisione del sistema sanzionatorio penale e amministrativo. E ancora: migliorare la certezza del diritto tributario, rendere più collaborativo il rapporto tra Fisco e contribuenti, incoraggiare la compliance spontanea, rivedere la funzionalità e la missione delle agenzie fiscali, incoraggiare l’afflusso di investimenti dall’estero e l’espansione delle nostre imprese all’estero, riformare il catasto e i giochi, rivedere la tassazione indiretta in funzione della tutela dell’ambiente.
Erano proprio questi, infatti, i contenuti del disegno di legge delega «Per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» presentato ad aprile del 2012 dal governo Monti, approvato dalla Camera ma non dal Senato, per la fine della legislatura. Fu ripreso nel 2013, per iniziativa parlamentare, approvato nel marzo 2014, attuato nel 2015 sotto il governo Renzi, seppure in parte. In particolare non è stata avviata la riforma del catasto, né quella dei giochi, né quella della tassazione ambientale. Ma è stata attuata la dichiarazione precompilata per lavoratori dipendenti e pensionati, data maggiore certezza con la riforma dell’abuso del diritto e dell’antielusione, delle sanzioni penali e amministrative, degli interpelli. Sono state riviste la riscossione e il contenzioso. È stata istituita la cooperative compliance per le imprese di maggiori dimensioni, sono state varate norme per favorire l’internazionalizzazione.
In attuazione della delega, ogni anno vengono prodotti rapporti, sottoposti al parlamento in occasione della sessione di bilancio, sulle dimensioni dell’evasione fiscale e contributiva e sulle strategie di contrasto, e sulle tax expenditures, purtroppo in crescita negli ultimi anni. Le agenzie fiscali hanno una missione più completa, che dà più enfasi al confronto preventivo e ai servizi al contribuente, accanto ai tradizionali controlli ex post.
Ancora, la fatturazione elettronica è oggi finalmente una realtà. Ma la lunghezza dell’intervallo tra la proposta legislativa iniziale e l’attuazione, come pure i ritardi tra l’istituzione dell’anagrafe dei conti finanziari, disposta con il salva Italia del dicembre 2011, e il suo effettivo pieno utilizzo, disposto con la manovra di bilancio per il 2020, fanno riflettere sulla lentezza dei processi di riforma, sulla necessità di completare i percorsi avviati da altri governi : percorsi che, anche quando siano condivisi dal governo pro-tempore, non danno ad esso la stessa visibilità di proposte nuove.
Queste osservazioni ci sembrano oggi molto rilevanti. Ricordare le riforme del passato non è, non intende essere, una rivendicazione, peraltro legittima, di quanto fatto
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da precedenti governi, tanto meno un indulgere al conservatorismo. Intende invece sottolineare una questione di metodo e di ampiezza del campo di intervento. Facendo tesoro delle esperienze passate appare evidente che attuare una riforma fiscale non può limitarsi a rivedere alcuni tributi, le basi imponibili, le aliquote. Il Fisco è un sistema complesso, occorre una visione sistemica che ne abbracci tutti gli aspetti. E non limitata a un intervento riformatore una-tantum, per quanto articolato, ma proiettata in una visione prospettica, in una strategia, il più possibile condivisa, da perseguire su un arco di tempo medio-lungo, e attenta alla ricerca di un coordinamento internazionale, almeno a livello europeo, sui grandi temi che pongono la digitalizzazione e la tutela dell’ambiente.