«Così si capirà, ora mi diverto io» Il lungo giorno dell’imputato Matteo
Con lui la compagna Francesca. Poi il messaggio del figlio e il caffè con gli alleati
La spalla che fa male, la nottata che non vuol saperne di passare. E quella sensazione di essere stato mollato col cerino in mano: un tarlo. Ammettiamolo, se il principe di Condé avesse avuto per ex compagni d’arme Conte e Di Maio, Toninelli e la Trenta, non si sarebbe concesso la famosa, serena dormita prima della battaglia di Rocroi.
Insomma, non dev’essere una gran notte, la notte prima dell’esame di Matteo Salvini, benché lui l’abbia messa giù spavaldo all’ora di cena: «Avrò accanto la mia compagna, starò benissimo». Francesca è lì, però il fantasma di un processo per sequestro di persona deve danzargli instancabile attorno al letto, perché, come diceva Hemingway, è molto facile fare il superiore su ogni cosa di giorno, ma di notte è tutta un’altra faccenda.
Il nuovo sole, sul mare di Aci Castello, illumina il primo caffè all’hotel Baia Verde con i tiepidi alleati che lui del resto abbandonò proprio per governare con i grillini: Antonio Tajani che lo rassicura, «sai che sulla giustizia siamo sensibili»; e Giorgia Meloni, che pure vorrebbe rassicurarlo, ma con i sondaggi che si porta nelle ali lo spaventa persino quando gli s’accosta per il selfie di rito sulla terrazza, «a Catania al fianco di Salvini: solo nei regimi si fa sparire un avversario politico cercando di metterlo in galera» (anche in qualche democratura sovranista, diremmo noi, ma certo è un’altra storia). Un clic e poi ciascun per sé, Giorgia a un flashmob, Matteo al suo destino (ma ecco, è l’ora d’andare, voi a vivere e io…).
In macchina verso il tribunale Giulia Bongiorno deve impartirgli le ultime raccomandazioni, un po’ mamma e un po’ maestra di sostegno. «Tiriamoli tutti dentro come testi, Conte e gli altri», suggerisce spietata. «Non se ne parla proprio, non faccio chiamate di correo: io non dico che sono colpevoli anche loro ma che sono innocenti come me!», taglia corto lui, in un sussulto guascone che dura poco. All’arrivo in piazza Verga, Salvini sfodera una faccia da ultimo banco quando la prof scorre il registro: un viso che nemmeno la mascherina riesce a nascondere ai teleobiettivi quando s’aggiusta pignolo la giacca blu sulle spalle e segue la sua avvocata sulle scale del palazzaccio come se lei gli tenesse la mano. A cento metri, dietro i cordoni dei carabinieri, gli antagonisti cantano «odio la Lega» sulle note di I Love You Baby, ma lui nemmeno si gira. Sa che lì in mezzo c’è anche il Pd catanese, e serba il (facile) colpo per l’uscita: «Manco in Venezuela un partito di governo va a una manifestazione di piazza che vuole a processo il leader dell’opposizione».
Ma la stoccata è rinviata, dentro c’è il suo giudice che attende, quel Nunzio Sarpietro che l’aveva rassicurato e insieme bacchettato a mezzo stampa, «avrà un’udienza serena, io non sono Palamara»: che in questa povera Italia non è un’ovvia tautologia ma una rivendicazione di correttezza. E in effetti dentro si mette bene: «Il fascicolo è pieno di contraddizioni», rileva Sarpietro, convinto dalle argomentazioni della Bongiorno: non si archivia ma bisogna approfondire. Attendendo l’esito della camera di consiglio, Salvini sbircia un messaggino del figlio adolescente: «Papà, l’hashtag #IoStoConSalvini è in cima a Twitter!». Vorrà pur dire qualcosa, i social tornano consolatori come sempre, un balsamo. Sicché, quando il giudice annuncia che convocherà quali testimoni Giuseppe Conte e mezzo governo Conte 1 più Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno del Conte 2, allargando insomma di molto il perimetro di quella che sembra ormai un’istruttoria di vecchio rito, si profila un’oggettiva vittoria del capo leghista, che gongola: «Si capirà che non mi sono svegliato una mattina dicendo “ora blocco uno sbarco!”. Certo, mi spiace far perdere tempo al presidente del Consiglio, che deve occuparsi di economia, lavoro .... Ma a Catania ci torneremo in compagnia!». Tajani, che mastica politica sin da bambino, traduce: «La forza di Salvini è che il premier di allora è lo stesso di oggi, difficile prendersela con Matteo e poi non con gli altri».
La mattinata virerebbe al meglio senza un colpo di scena da B-movie che potrebbe finire malissimo: una lastra di marmo si stacca dal muro dell’aula e colpisce a una gamba Giulia Bongiorno, che infatti si presenterà in sala stampa su una sedia a rotelle gialla. Salvini, ormai rinfrancato, gigioneggia: «Ce ne deve rispondere il ministro Bonafede. Bonafede dove sei? Vedrete che a Catania si chiuderà un processo e se ne aprirà un altro!». Si fa tardi e il piazzale del porto si svuota senza la liturgia del comizio finale. Ma nel capannone hi-tech della Nuova Dogana, sede di questa tre giorni leghista, Matteo è avvolto dal boato dei fedelissimi. Al pranzo con parlamentari e dirigenti locali, ritrova Francesca che lo aspetta. «Ora mi diverto io, mi godrò la sfilata». Poi fa il giro dei tavoli, candido come una sposa o un bambino dopo la prima Comunione.