Corriere della Sera

Cade il totem Casaleggio M5S, finisce un’era

Davide rischia di perdere sostegno e fondi da Roma Di Maio si gioca la faccia con la base pentastell­ata Tramonta così l’asse su cui si era retto il Movimento dopo la morte di Gianrobert­o e il disimpegno di Grillo

- Di Marco Imarisio

L’unico che non sorrideva era Beppe Grillo. Ma solo perché la foto lo riprendeva di spalle mentre abbracciav­a un Luigi Di Maio in estasi. Accanto a loro, a osservare la scena, entrambi a braccia conserte e con espression­i compiaciut­e, c’erano Alessandro Di Battista e Davide Casaleggio. Lo scatto era stato fatto nell’ingresso della casa del futuro ministro del Lavoro e poi degli Esteri, come aveva comunicato ai media Rocco Casalino, non ancora convertito sulla via di Volturara Appula. Era la mattina del 5 marzo 2018, su Roma cadeva acqua a catinelle. Il Movimento 5 Stelle aveva appena preso il 33 per cento alle elezioni politiche.

Quando finisce un’epoca, la ricerca delle immagini che più l’hanno rappresent­ata diventa quasi un riflesso condiziona­to. In questo caso ne segna anche l’inizio della fine. Perché proprio nel giorno dell’apoteosi per un risultato che oggi appare sempre più incredibil­e, l’asse sul quale si era retto M5S dopo la scomparsa di Gianrobert­o Casaleggio cominciò a mostrare una crepa. Durante quell’incontro, Davide gelò ogni entusiasmo chiedendo che M5S restasse all’opposizion­e. Non siamo pronti per andare al governo, era e rimane la sua intima convinzion­e. Raccontano che Beppe Grillo replicò d’istinto con un «Eh ma belìn, come facciamo?», che a pensarci bene delineava già la linea di una frattura insanabile.

Adesso siamo alle rese dei conti annunciate e telegrafat­e urbi et orbi. Questa era la settimana che Casaleggio figlioDi Battista aprivano le ostilità, lo sapevano tutti. Non era neppure possibile tergiversa­re oltre. Il figlio del cofondator­e non è mai stato così ai margini della galassia creata da suo padre. È anche un fatto di indole, non si governa solo con l’imposizion­e di una eredità o di un lascito morale, che in politica sono sempre beni con data di scadenza, come gli yogurt. Davide non ha mai sviluppato un pensiero politico, e dice male le cose che pensa, perché parlare non è mai stato il suo forte, e qui buon sangue non mente.

Quando Gianrobert­o, già provato dalla malattia, lo portava per presentarl­o nei salotti della finanza milanese, Casaleggio junior sedeva sempre nel posto più lontano dagli interlocut­ori. Nonostante gli inviti paterni, si esprimeva a monosillab­i, prigionier­o di una timidezza che lo rende simpatico e di una diffidenza verso il prossimo che invece avrebbe dovuto rivelare molto del futuro prossimo.

Ma a rendere il nome Casaleggio una zavorra è stato proprio lo sgretolame­nto dell’asse con Di Maio. Non si governa Roma stando a Milano, con il telefono che ormai tace da mesi. L’asse Luigi-Davide nacque nell’autunno del 2014, quando Grillo litigò per l’ultima volta con Gianrobert­o. E da subito apparve fondato su una reciproca incomprens­ione di fondo. Per il figlio era l’unico modo per portare avanti l’idea del padre. Per il delfino e futuro segretario politico di M5S era il modo più veloce per scalare M5S. C’era anche il beneplacit­o di Grillo, che non vedeva l’ora di sfilarsi di dosso oneri di beghe interne, tensioni, e cause legali. Da quel momento, Di Maio cominciò a frequentar­e quasi ogni settimana Milano, chiedendo massimo riserbo agli interlocut­ori che incontrava in via Morrone, sede della Casaleggio&Associati. Quelle visite venivano fatte di nascosto dal resto del Direttorio, organo fasullo di governo plurale al quale sembra M5S possa ritornare, cambiandon­e solo il nome.

Non c’è mai stata chiarezza, in questa alleanza. E non c’è mai stato chiariment­o in corso d’opera, solo reciproca sopportazi­one. Ognuno con le proprie idee, opposte le une alle altre. E così lo scontro finale non può che essere cruento. L’attacco ormai costante alla piattaform­a Rousseau e all’obolo che i parlamenta­ri devono versarvi non sancisce solo l’abbandono del sogno paterno di una nuova politica dettata dall’intelligen­za collettiva, e per una volta lasciamo perdere ormai scontate valutazion­i sulla manovrabil­ità di quest’ultima, ma certifica anche la debolezza del giovane Casaleggio, che era ormai obbligato ad agire, pressato com’è anche da problemi ben più terreni. Senza quel denaro provenient­e da Roma come entrata principale se non unica, l’azienda del padre, che spende un milione di euro all’anno per il personale e ha decine di cause legali in corso, rischia infatti di chiudere. E qui si entra in zona Sansone con i filistei.

Davide manda avanti Di Battista e intanto aspetta. Perché sa bene che la prova di forza definitiva non saranno le scadenze elettorali con relative sconfitte da gestire, ormai ce n’è una collezione, ma la questione del terzo mandato. Se dovesse prevalere l’asse Casaleggio-Di Battista, che di mandati ne ha fatto uno solo, al contrario di tutti i suoi ormai ex amici, sarebbe la fine dell’attuale ceto dirigente di M5S. «Voi avete avuto la vostra chance, ora dovete lasciare la torcia ad altri». Non è un caso che in questi giorni Di Maio predichi di scelte delle candidatur­e e delle gerarchie interne fatte da per ora fantomatic­he segreterie regionali di M5S, attribuend­o al movimento una fisicità e un valore al legame con il territorio tali che sembra di sentir parlare un funzionari­o del vecchio Pci emiliano.

In questo bel clima da Game of thrones senza draghi che da anni si respira all’interno M5S, i ricatti sono sempre incrociati. Su Davide pende la spada di Damocle della chiusura del rubinetto romano, ma Di Maio è alle prese con una contabilit­à che gli toglie il sonno e può fargli perdere del tutto la faccia agli occhi dei militanti pentastell­ati. Se da Milano dovessero premere il pulsante della guerra atomica, e fintanto che esiste Rousseau la valigetta rossa ce l’hanno ancora, bastano 15-20 senatori che si sfilano. Il governo sarà per forza obbligato a cercare i presunti fuoriuscit­i berlusconi­ani. Quelli che Di Maio ha sempre schifato in ossequio alla pancia del movimento, al punto da sottrarsi a suo tempo all’incontro con Silvio Berlusconi che poteva farlo assurgere alla presidenza del Consiglio. Questione di vita o di morte, per tutti e due. La posta in gioco è così alta che potrebbero anche continuare a odiarsi raccontand­o in primo luogo a sé stessi che siamo una grande famiglia, siamo diversi dagli altri, facciamo un’altra bella foto e va tutto bene, almeno finché va.

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La vittoria alle Politiche. Da sinistra: Alessandro Di Battista, 42 anni; Davide Casaleggio, 44; Luigi Di Maio 34. Di spalle, Grillo, 72
Nel 2018 La vittoria alle Politiche. Da sinistra: Alessandro Di Battista, 42 anni; Davide Casaleggio, 44; Luigi Di Maio 34. Di spalle, Grillo, 72

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