«Ma per molti a Est fu uno schiaffo C’è tanto da fare»
«Ora più Europa, attenzione alla Cina su Taranto»
Annalena Baerbock aveva 9 anni quando cadde il Muro di Berlino. E la bambina di Hannover non avrebbe mai immaginato che trent’anni dopo la sua nuova Heimat sarebbe stata proprio nell’Est. La co-presidente dei Verdi, la donna che insieme a Robert Habeck ha portato i Grünen nei sondaggi a essere stabilmente la seconda forza politica tedesca dopo la Cdu, vive infatti a Potsdam. Deve molto Baerbock alla Wende, la svolta che nel 1989 lanciò la lunga volata della Riunificazione, di cui ieri si è celebrato il trentesimo anniversario: «Senza la rivoluzione pacifica la mia famiglia non sarebbe esistita. Ho conosciuto mio marito a Francoforte sull’Oder, i miei figli si sentono a casa a Potsdam nel Brandeburgo».
Baerbock mi riceve nel suo ufficio da deputata al Bundestag. È il giorno dopo il successo dei Verdi nelle comunali del Nord Reno-Vestfalia. Tra i molti comuni che avranno un borgomastro ecologista, anche tre storiche città renane: Bonn, Aquisgrana e Wuppertal. «È il Land più popoloso e con tanti posti di lavoro nell’industria. Il nostro risultato storico è una buona partenza per le elezioni federali che avranno luogo tra un anno», dice nell’intervista esclusiva al Corriere.
Trent’anni dopo la riunificazione ci sono distanze e divisioni tra Est e Ovest, non solo economiche: il 40% dei tedeschi dell’Est si sentono come cittadini di seconda classe, mentre uno su 4 vota un partito di estrema destra nazionalista. Perché? Cosa non ha funzionato?
«La rivoluzione pacifica del 1989 fu un miracolo: non venne sparato un colpo, i confini furono abbattuti dalla protesta civile e pacifica delle persone, non solo in Germania Est ma anche in altri Paesi dell’Europa orientale. Mi corre un brivido per la schiena ancora oggi quando vedo quelle immagini. Ma negli Anni 90 vennero commessi degli errori. Gli sconvolgimenti furono enormi, molta gente perse non solo il lavoro, ma anche l’identità. È vero, è stato investito molto denaro nelle infrastrutture dei nuovi Länder, ma le condizioni di vita sono rimaste come prima molto diseguali soprattutto in campagna. Per questo 30 anni dopo non possiamo archiviare il tema dell’unità tedesca. Penso che nelle aree rurali si debbano rafforzare i collegamenti, i presidi medici, le scuole, altrimenti prenderanno piede le forze antidemocratiche».
Il presidente Steinmeier parla di «biografie spezzate» a proposito della perdita di identità dei tedeschi dell’Est.
«È un aspetto trascurato da chi è nato e cresciuto all’Ovest. Per molti tedeschi dell’Est fu come uno schiaffo in faccia. Loro che avevano rischiato la vita per la loro libertà si sono visti mancare il terreno sotto i piedi. Helmut Kohl aveva promesso “paesaggi in fiore”. Invece centinaia di migliaia persero il lavoro, i bambini si trovarono di fronte genitori disorientati. Quello che era giusto fino a pochi mesi prima, all’improvviso era sbagliato. Per me è un dovere dedicarvi molta attenzione. I prossimi sconvolgimenti, come l’uscita dai combustibili fossili, dobbiamo gestirli in modo diverso. Non si possono fare solo promesse come allora. La politica ha il compito di preoccuparsi anche dei singoli».
Nella sua esperienza personale sente la distanza tra le due mentalità?
«Per nulla. Ma ci sono esperienze molto diverse e me ne accorgo anche con persone della mia generazione che vengono dall’Est. Delle loro vite viene raccontato poco: com’era nella Ddr, com’era andare a scuola e non poter raccontare che avevano visto la televisione dell’Ovest o che avevano letto di nascosto Der Spiegel. Per me è importante tramandare la storia ai miei figli. Quando passiamo dal Ponte di Glienicke, quello dove si scambiavano le spie, i miei bambini chiedono perché il verde di un lato è diverso da quello dell’altro. E io dico loro che lì è ancora visibile il fatto che la Germania fosse una nazione divisa. Trovo importante che sappiano cosa significava per le persone non poter vivere in libertà in una parte d’Europa».
Considera il Next Generation Eu la rottura di un tabù, quello del debito in comune?
«Con il Recovery Fund investiamo insieme nel nostro futuro, quindi è il contrario della rottura di un tabù. In questa crisi abbiamo visto quanto sia importante tenere insieme l’Europa in modo da non essere dipendenti dalla Cina. Per questo il Next Generation Eu è il fondamento perché l’Ue anche in futuro possa reagire unita alle crisi e soprattutto che noi possiamo agire sovrani da europei nel mondo».
È giusto porre il rispetto dello Stato di diritto come criterio per l’erogazione dei fondi europei?
«L’Europa non si trova solo dentro l’incendio della crisi pandemica, ma anche della crisi climatica e della democrazia e dello Stato di diritto dentro i suoi confini. Perciò è centrale, primo finanziare la transizione verso un’industria pulita e secondo usare le risorse anche per rafforzare democrazia e Stato di diritto. Non si può semplicemente pagare mentre diritto e democrazia vengono calpestati. Ed è bene che l’Europarlamento sollevi il problema. Se i governi non lo fanno, meglio versare i soldi direttamente ai comuni».
Siamo a metà della presidenza tedesca dell’Ue, qual è il suo bilancio provvisorio?
«Era essenziale che ci fosse una professione europeista nella forma del Recovery Fund. Ma questi miliardi occorre spenderli in modo sostenibile. Sia in Lombardia, dove l’industria tedesca è legata alle aziende fornitrici per l’auto e la chimica, sia in Germania, l’industria europea potrà guardare al futuro solo se sarà climaticamente neutra. In questo senso la presidenza tedesca non ha spinto abbastanza».
E come ha fatto sulla Cina, che doveva essere il dossier più importante della presidenza?
«La cosa buona è che finalmente la strategia seguita finora con Pechino venga adesso considerata in modo autocritico anche da parte tedesca. Occorre una linea comune europea e non 27 politiche diverse. Dobbiamo dire chiaramente che non ci può essere alcun accordo commerciale se non vengono rispettati il diritto internazionale, i diritti umani e l’autonomia economica delle imprese. Sono in gioco anche la sicurezza e la sovranità dell’Europa. Noi europei siamo indeboliti se nel caso di infrastrutture strategiche non vengono rispettati gli standard di sicurezza e diritto: per fare due esempi, le componenti Huawei nella rete digitale in Germania e i progetti della Via della Seta in Italia. È importante che il porto di Taranto rimanga in mani italiane e nel dubbio gli europei devono agire».
La questione migratoria si è di nuovo aggravata. Cinque anni dopo la crisi del 2015 non c’è un meccanismo di distribuzione e le regole di Dublino sono ancora in vigore. Come si risolve il problema?
«Gli Stati dell’Europa centrale hanno troppo a lungo lasciato soli quelli del Sud, Italia e Grecia in primis. Non basta qualche ritocco di facciata a Dublino ma occorre creare un sistema d’asilo fondato sulla responsabilità collettiva europea. Significa che le persone ai confini esterni devono essere assistite in modo umano mentre si fa una verifica di sicurezza e che bisogna distribuire i migranti dentro l’Europa per evitare che si ripetano queste disastrose condizioni nei centri di accoglienza, ormai stracolmi».
Basata sui valori di libertà, democrazia e diritti umani, la riunificazione tedesca ha aperto la strada all’espansione dell’Unione Europea Charles Michel Presidente del Consiglio europeo
Oggi, mentre affrontiamo la più grande prova dalla Seconda guerra mondiale, dovremmo ricordare le lezioni della storia. Uniti possiamo vincere David Sassoli Presidente del Parlamento europeo
Il ponte delle spie
Per me è importante tramandare la storia ai miei figli. Quando passiamo dal Ponte di Glienicke, quello dove si scambiavano le spie, i miei bambini chiedono perché il verde di un lato è diverso da quello dell’altro