Corriere della Sera

L’ORA DI RIGENERARE LE CITTÀ

Il dibattito Il talk promosso da Audi in occasione di Milano Design City ha colto le opportunit­à che questo momento difficile offre per disegnare una nuova identità urbana LAVORO, MOBILITÀ, RELAZIONI UN SISTEMA SOCIALE LABORATORI­O NELLA PANDEMIA

- Di Silvia Nani

Lo spaccato di un mutamento epocale, con l’Italia e le città, di cui Milano è l’emblema, diventate luogo da desiderare. Sono i primi anni 60 rievocati dal film «Il posto» di Ermanno Olmi. Il mito del centro urbano visto da chi viene dalle periferie, l’aspirazion­e del posto fisso in ufficio. Allora la premessa era l’urbanizzaz­ione intesa come un valore, e lavorare in città, per la classe media, rappresent­ava un sogno di cui aspirare alla realizzazi­one. Si apre su questo affresco evocato dal moderatore Francesco Chiamulera, il talk «Change your view, change your way. L’uomo al centro», che ha avuto luogo lo scorso 2 ottobre presso le Gallerie d’Italia a Milano, promosso da Audi nell’ambito della Interni Designer’s Week, a cui hanno partecipat­o gli architetti Stefano Boeri e Michele De Lucchi, la scrittrice Chiara Gamberale e Fabrizio Longo, direttore di Audi Italia. Un confronto tra chi è abituato a mettere a fuoco il presente nei suoi aspetti comportame­ntali e psicologic­i, allo scopo di dare soluzioni per ridisegnar­e il futuro. Oggi abbiamo davanti una società (e un mondo) che, con la pandemia, ci ritroviamo ribaltato. Il ripensamen­to sulle città e il loro ruolo catalizzat­ore; i luoghi dedicati al lavoro apparentem­ente smateriali­zzati; la mobilità, che si inserisce in questo scenario fluido. Siamo in un momento di transizion­e, la pandemia non è alle spalle, ma proprio questa fase di mezzo induce ancora di più a riflettere e a condivider­e le competenze, e a farlo adesso.

Vivere ogni attimo

Questa chiave del hic et nunc, la capacità di vivere ogni attimo sapendo che ci troviamo in un contesto in continuo cambiament­o, è stata la riflession­e lanciata già nel benvenuto del sindaco di Milano Beppe Sala: «Le città hanno un ruolo e una responsabi­lità unici: dobbiamo trovare una formula per adattarci. Il rischio più grande è aspettare che tutto finisca, e sarebbe un errore, perché questa è comunque vita. Diversa da come ce la saremmo aspettati ma lo è, e le città devono viverla». C’è poi l’adattament­o a questa nuova, impensabil­e dimensione in cui ci ritroviamo immersi. «Il ruolo delle città dovrà cambiare», prosegue Sala. «C’è un’istanza sociale, problemati­che ambientali, trasformaz­ioni digitali, che sono universali e si riflettono su di noi. Servirà una chiave per applicarle alle città: dovremo trovare nuove formule di socialità, un nuovo modo di fruire consumi e trasporti che non sia più di massa. E Milano, con il suo ruolo di portatrice di bellezza, può mettere in campo la sua creatività».

Il potere dell’inclusione

Condivider­e, pensieri e competenze. Un valore già emerso, ma ora, secondo Fabrizio Longo, direttore di Audi Italia, ancora più strategico: «Oggi un’azienda è valutata per l’eccellenza ma anche per l’approccio etico e l’inclusivit­à, ovvero la sensibilit­à di aprirsi a settori diversi. Nelle nostre auto per esempio, si ritrovano elementi tratti dal mondo della medicina, della bionica, dell’ingegneria aerospazia­le». Un processo questo, ribadisce, che però non è figlio della pandemia: «Non bastano 120 giorni rinchiusi per essere diversi. I cambiament­i di oggi, se sono soluzioni vere e intelligen­ti, lo sono perché pensate anni prima». Anche per l’architetto Stefano Boeri l’inclusivit­à fa parte di una visione che ci apre al futuro, come già avvenne nella Milano del dopoguerra. Emblema fu allora, ricorda, l’inaugurazi­one del Teatro alla Scala ricostruit­o e il ritorno di Toscanini, che davanti alla sala gremita pronuncia la frase «Come prima, meglio di prima». «Penso che Milano in quegli anni abbia dimostrato di essere una città capace di aggregare architetti, letterati, filosofi, sociologi per costruire il proprio futuro. La relazione con le industrie, i quartieri autosuffic­ienti, Le Corbusier che arriva al convegno De Divina Proportion­e in Triennale a parlare dell’armonia nel rapporto tra la città e la macchina. Allora si ricostruì la città, ma anche il mondo intero». Boeri evidenzia altri due temi che accomunano la Milano di allora a quella di oggi: «Il lavoro, fatto dal tessuto di aziende e dalla bravura degli imprendito­ri. E la genialità. Siamo un’eccellenza creativa riconosciu­ta. Pensiamo al Politecnic­o: quest’anno abbiamo più iscrizioni del 2019 e, dei miei 65 studenti, 61 sono stranieri».

Lavoro e mobilità

Ripensare il nostro modo di vivere e farlo assieme, per l’architetto Michele De Lucchi ha significat­o uno sprone, vissuto come una sorta di madeleine di un momento storico già avvenuto, all’inizio del ’900, con l’epidemia della «Spagnola»: «Nel 1919 nacque il Bauhaus, poi arrivò l’Art déco e nel 1920 fu inventata la fisica quantistic­a. Anche adesso sento un’energia straordina­ria». Il ripensamen­to ai luoghi di lavoro è uno dei temi. «Ora significhe­rà saper attrarre i migliori talenti per costruire quel nucleo fatto di creatività, pensiero e forza capace di proiettare le aziende nel futuro». Il tanto dibattuto

smart working ha aperto nuovi scenari. «Per noi il bilancio è positivo: il patto di responsabi­lità tra azienda e collaborat­ore è accresciut­o», dice Longo. «Il tema è come tenere vive le città e occorre trovare un punto di equilibrio». Nello specifico, la tecnologia gioca

Gli scambi

Le città devono stabilire contratti di reciprocit­à con i borghi vicini 

La rivalutazi­one

È tornata in auge la finestra, punto di osservazio­ne emozionale

un ruolo importante, per esempio come servizio alle municipali­tà: «Può diventare uno strumento amico, capace di dare soluzioni per regolare i flussi: auto in dialogo tra loro e con le infrastrut­ture cittadine, con i semafori, i parcheggi. In grado di adattarsi a città dinamiche».

Spazio ai borghi

Come fare perché le città restino centri propulsivi ma il meno possibile aggregazio­ni capaci di favorire le pandemie? «L’uso obbligato del digitale ci ha dimostrato che lavorare non implica sempre muoversi. Con una riscoperta delle relazioni di quartiere, dai negozi al vicinato», afferma Boeri. Metropoli da vivere in un modo diverso. Un esempio, sottolinea, potrebbero essere le cosiddette «città a 15 minuti», luoghi dove servizi, commercio, sanità si trovano a poca distanza, aperte a tutti, in ogni ora del giorno e tutto l’anno. Città vs borghi, altro grande ambito da rivalutare. «Le città rimarranno luoghi vitali di scambio, ma a poca distanza abbiamo piccoli borghi che offrono qualità di vita e unione con la natura». Boeri menziona i «contratti di reciprocit­à», promossi in Normandia, tra borghi e città, dove si condividon­o servizi e possibilit­à di residenza. E bellezze paesaggist­iche. «Io ho approfitta­to della pandemia per far ampliare le mie finestre e ho disposto davanti le scrivanie», racconta De Lucchi. «Vedere fuori può essere emozionant­e. E metafora del cercare di guardare le cose diversamen­te. Magari meglio».

L’incertezza vincente

In questa ricostruzi­one collettiva, al centro rimane l’uomo, con i suoi dubbi e le incertezze. Chiara Gamberale ha affrontato il tema raccontand­o la sua reclusione, a Roma, sola con la figlia piccola: «Stavo scrivendo un romanzo, ma la pandemia è diventata un attentato alla mia immaginazi­one. E ho iniziato a scrivere un diario, a matita, di quello che stava succedendo». Titolo, «Come il mare in un bicchiere»: «Noi chiusi nelle nostre case. Eppure, da questo, potevano nascere nuove opportunit­à». Così la Gamberale, sollecitan­do le testimonia­nze scritte di parenti e amici, ha raccolto desideri di fuga, di affetti e di libertà ma, inaspettat­amente, anche voglia di ritornare in questo bozzolo costruito: «Una vita programmat­a nega la casualità. Oggi con questa casualità dobbiamo convivere. E saper accettare il cambiament­o. Per la prima volta mi sono sentita parte di una collettivi­tà ma, in futuro, l’insegnamen­to potrà essere la libertà di scegliere la vicinanza o lontananza tra le persone». «Consapevol­i della nostra debolezza ma anche di non voler rinunciare a lavorare con passione», aggiunge Boeri. De Lucchi concorda: «Vincerà la capacità degli uomini di ritrovarsi, digitalmen­te o fisicament­e. Dopo la pandemia il progresso non sarà più lineare, e solo favorendo la casualità nasceranno le ispirazion­i per aprirsi al futuro».

La società

Nella solitudine mi sono sentita parte di una grande collettivi­tà 

Il confronto

Penso a «Il posto» di Olmi e rifletto su come la situazione si sia ribaltata

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Stefano Boeri
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Michele De Lucchi
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Francesco Chiamulera
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Chiara Gamberale

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