Corriere della Sera

La grandezza della ricerca come leva per lo sviluppo

La ripartenza Il Nobel per la chimica a Charpentie­r e Doudna testimonia la grandezza della ricerca di base e conferma che il sostegno alla scienza è la strada che dobbiamo seguire

- di Elena Cattaneo e Mario Monti

Caro direttore, la notizia del Nobel per la chimica assegnato ieri a Emmanuelle Charpentie­r e Jennifer Doudna per aver sviluppato il metodo di «taglia e cuci» di precisione del Dna Crispr/ Cas9 ci ricorda come le scoperte più dirompenti, in grado di aprire inaspettat­i avanzament­i conoscitiv­i e, di conseguenz­a, tecnologic­i ed economici, sono spesso frutto di studi negli ambiti di ricerca più inaspettat­i. Il metodo premiato dal Nobel, che ha rivoluzion­ato l’ingegneria genetica, infatti, è arrivato dopo decenni di ricerca di base da parte di studiosi incuriosit­i dalla presenza di frammenti di Dna «estraneo» nel genoma di un batterio che, si è poi scoperto, altro non erano che residui di virus invasori incorporat­i per essere riconosciu­ti e combattuti dal batterio nel caso si fossero ripresenta­ti.

È questa la grandezza della ricerca di base: è libera, nasce da un’idea mai pensata prima, spesso basata su una osservazio­ne inattesa, che cresce insieme alla passione, fino a immaginare un obiettivo per poi sviluppare la strada per raggiunger­lo. È dalla curiosità di Jules Hoffmann sulle cavallette che non sviluppano infezioni che si è giunti a capire le regole dell’immunologi­a nell’uomo a cui oggi ci appelliamo per fronteggia­re la sfida pandemica; è dai ricercator­i che volevano rendere le petunie più viola che è nato il viaggio che ha portato al silenziame­nto genico e ai farmaci «antisenso» ora in uso per contrastar­e malattie come l’atrofia muscolare spinale o l’Huntington; è dalla concettual­izzazione matematica della teoria dei giochi ad opera di Von Neumann e Morgenster­n che sono emerse applicazio­ni in settori inimmagina­bili agli stessi autori, con particolar­i benefici per le scienze economiche, politiche e sociali.

La ricerca, in tempi di pandemia, è oggi «sulla bocca di tutti»: dal punto di vista retorico è presente in ogni ragionamen­to lungimiran­te — non solo nella comunità scientific­a, ma anche in ambito politico e istituzion­ale — per decidere cosa sia meglio fare per costruire il domani su basi solide. Tra tutte, pensiamo alle recenti consideraz­ioni fatte dal presidente della Repubblica. Il momento per essere coerenti con questi impegni non può più essere rimandato ed è importante vigilare affinché si evitino passi falsi o «improvvide dimentican­ze».

Sul Corriere di giovedì 1 ottobre autorevoli studiosi italiani, con una lettera aperta al presidente del Consiglio, hanno rappresent­ato la necessità di utilizzare una parte significat­iva delle risorse previste dal Piano europeo di ripresa e resilienza per incrementa­re in maniera sostanzial­e gli investimen­ti in ricerca nel nostro Paese. È di certo questa la strada da seguire.

Molti studi indicano che l’istruzione e la ricerca (tutta la filiera) rappresent­ano leve oggettive di sviluppo con ritorni anche economici di prima grandezza. Ecco perché l’investimen­to pubblico e privato in questi settori strategici è la migliore garanzia di un futuro sostenibil­e per le nuove generazion­i. Durante la crisi economica iniziata nel 2008 l’Italia — che non osava affrontare le due voci di spesa pubblica fuori controllo, pensioni e interessi sul debito — ha preferito tagliare le risorse dedicate alla crescita, in particolar­e alla ricerca. Invece altri Paesi europei, come la Germania, hanno coraggiosa­mente deciso di incrementa­rle. Una scelta strategica i cui frutti si vedono, ad esempio, nei risultati straordina­ri del sistema della ricerca tedesco negli Erc Starting Grants 2020, in cui il Paese primeggia sia per nazionalit­à dei ricercator­i vincitori, sia per numero di progetti ospitati.

Tra gli obiettivi su ricerca e innovazion­e indicati dal governo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) all’esame del Parlamento c’è, nero su bianco, l’impegno a portare la spesa per Ricerca e Sviluppo dal nostro esiguo 1,35 per cento del Pil (dati 2017 su investimen­ti pubblici e privati) al 2,1 per cento, il che significhe­rebbe superare la media europea attuale (2,06 per cento) o, più verosimilm­ente, accorciare le distanze a danno dell’Italia, essendo prevedibil­e che tutti gli Stati membri punteranno, stimolati dalla Ue, ad accrescere i loro investimen­ti in ricerca.

Come possiamo, quindi, cogliere al meglio l’opportunit­à del programma di investimen­ti Next Generation Eu, di cui il Pnrr è la prima declinazio­ne nazionale, per accelerare la transizion­e verso un’economia della conoscenza costruita sul talento delle nuove generazion­i cui è dedicato, fin dal nome, lo strumento voluto dalla Commission­e europea? Sono centinaia i giovani studiosi italiani, ragazzi e ragazze provenient­i da ogni parte della penisola, pronti a mettere in competizio­ne le loro idee, in ogni ambito disciplina­re, per trasformar­le in progetti che potranno diventare volano non solo di crescita economica, ma anche di arricchime­nto del «capitale cognitivo» del Paese, di maggiore attrattivi­tà culturale e di coesione territoria­le.

Sarebbe irresponsa­bile verso le prossime generazion­i, il cui futuro stiamo continuand­o a ipotecare con una montagna di debito che si innalza sempre di più, se queste risorse finissero in spesa corrente o in trasferime­nti volti a generare consensi, invece di essere impiegate massicciam­ente per investire in istruzione e ricerca, leve indispensa­bili per rendere anche solo verosimile l’impresa di scalare quella montagna, di rendere sostenibil­e il debito grazie a un’accelerazi­one della crescita.

È il momento di aprire una nuova stagione di coinvolgim­ento e responsabi­lità diretta dei giovani talenti attraverso programmi nazionali di investimen­to strutturat­i e continuati­vi sulle loro migliori idee offrendo, ovunque essi si trovino in Italia: risorse, spazi, libertà, autonomia, indipenden­za. Affinché ciò accada, maggiori risorse sono indispensa­bili ma, sia chiaro, altrettant­o indispensa­bile è lasciarsi alle spalle, con decisione, un quadro regolament­are e di «costume» che spesso privilegia le conoscenze rispetto alla conoscenza, la corporazio­ne rispetto alla competizio­ne, i «meriti» acquisiti altrimenti rispetto ai meriti dimostrati sul campo.

L’Europa che dà risorse unita all’Europa che dà stimoli per il cambiament­o. È questo il binomio che dagli anni Sessanta ha avuto tanta parte nella crescita economica e sociale dell’Italia, prima che negli ultimi decenni l’involuzion­e culturale e politica facesse perdere molte posizioni al nostro Paese e, a noi cittadini, la fiducia gli uni negli altri — ingredient­e essenziale per la crescita di una comunità — e nel nostro futuro.

È il rinnovarsi di questo binomio, l’Europa come risorsa e come stimolo, che auspichiam­o. Se, nel nuovo contesto che si apre, riusciremo a recuperare quello spirito, un investimen­to cospicuo e trasparent­e nella «Next Generation Italy» sarebbe un’iniziativa dirompente e inedita che potrebbe guadagnars­i la fiducia del Paese grazie a un investimen­to direttamen­te sulle persone, sui giovani ricercator­i, sui piccoli gruppi, sulle idee sconosciut­e, fuori dagli schemi, che aspettano solo l’occasione di germogliar­e e fare rete. Le risorse, per una volta, stanno per esserci. Le idee pure. Ora servono la lungimiran­za e la determinaz­ione politica di darvi corpo.

* Docente della Statale di Milano

e senatrice a vita ** Presidente della Bocconi

e senatore a vita

L’Europa che dà risorse all’Europa che dà stimoli per il cambiament­o

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