Trump nello Studio Ovale, violato il divieto
Il presidente twitta dalla Casa Bianca deserta e spezza il confino imposto dall’infezione. «Non ha più sintomi»
Nel primo pomeriggio Donald Trump spezza il confino imposto dall’infezione di Covid e torna a lavorare nello Studio Ovale. Fino a quel momento i suoi portavoce si erano affannati a chiarire che si stavano ancora «predisponendo le misure di sicurezza». Ma evidentemente Trump non poteva più aspettare.
Il prossimo passo: un discorso per rassicurare la Nazione sulle sue condizioni di salute, dopo essere rientrato lunedì 5 ottobre dal Walter Reed Medical Center. Chiede ai suoi consiglieri notizie sugli aiuti finanziari per le compagnie aeree. Confinato nella Map Room a piano terra, Donald Trump aveva twittato furiosamente per tutta la mattinata.
All’ora di pranzo si contavano 29 messaggi diretti e altri 29 ripostati, compresi video e foto. È un brogliaccio di slogan, accuse, risposte, teorie cospirative. Attacchi e insulti a Joe Biden, Hillary Clinton, «la sinistra radicale», «i media corrotti». Temi collaudati: dalle elezioni per posta «sicuramente truccate», alle manovre di Barack Obama, mai provate, di spiarlo durante la campagna elettorale del 2016. Trump retwitta che sarebbero in arrivo «novità tali da scatenare un inferno» già oggi.
L’unica cosa che manca e che invece dovrebbe essere in cima alla lista è il coronavirus. Di fatto scomparso dall’orizzonte trumpiano.
Surreale, visto che oggi la Casa Bianca è, senza esagerare, uno dei luoghi più infetti e pericolosi di Washington. Il dottor Sean Conley, medico
La lista dei contagiati continua ad allungarsi: sono 24 tra consiglieri, advisor, militari, cronisti
personale del presidente, ieri ha fatto sapere che il paziente «non presenta sintomi di Covid da martedì 6 ottobre e non ha febbre da sabato 3 ottobre». La prognosi resta comunque in bilico. Almeno fino a lunedì prossimo Trump non sarà fuori «pericolo».
The Donald schiuma, martellando il cellulare, telefonando ai pochi scampati al contagio, dando il tormento al suo capo dello Staff, Mark Meadows, un tempo parlamentare di punta a Washington e che certo non avrebbe mai immaginato di dover fare l’attendente o il capo sala in questa specie di nosocomio allestito in tutta fretta.
In teoria Trump non dovrebbe muoversi e chi ha la necessità assoluta di vederlo, deve indossare un camice giallo, occhiali protettivi e una mascherina rinforzata.
Il resto della West Wing, l’ala occupata dal Commander in Chief, è praticamente deserta. Scrivanie vuote, postazioni abbandonate. Gran parte dello staff ha ricevuto l’ordine di lavorare da casa. Nel vialetto che porta al cancello principale, quello che dà su Pennsylvania Avenue, resistono le piattaforme e le cabine riservate ai collegamenti tv.
L’Associazione dei corrispondenti accreditati alla White House sta tempestando di mail le centinaia di iscritti: «Fate i test, proteggetevi con mascherine e occhiali e cercate di non venire a lavorare alla Casa Bianca».
La lista dei contagiati, però, continua ad allungarsi: ora sono 24 tra consiglieri trumpiani, advisor esterni, militari e cronisti (tre).
Il presidente non ha febbre da sabato, ma almeno fino a lunedì non sarà fuori pericolo