Kamchatka, l’eco-disastro è un giallo
Centinaia di pesci morti in spiaggia nella penisola russa. L’ipotesi dell’incidente in una base militare
Sulla spiaggia vulcanica paradiso dei surfisti russi da giorni c’è puzza di pesce marcio e di benzina. La sabbia nera dello spot più famoso della penisola della Kamchatka, patrimonio dell’umanità per l’Unesco, ora è coperta dai cadaveri portati dal mare: polpi giganti, foche e granchi si ammassano a centinaia sulla riva senza vita, avvolti dall’acqua sporca e da una schiuma giallognola. Cosa sia successo nel mare ondoso del Pacifico Settentrionale che batte sul litorale è ancora un mistero. Ma le autorità regionali — e alla fine anche federali di Mosca — hanno avviato delle indagini penali per capire cos’abbia causato «il disastro ecologico più grave che questa terra abbia mai visto».
Sono stati i surfisti locali i primi ad accorgersi che qualcosa non andava, a fine settembre. Dopo un po’ che cavalcavano le onde hanno iniziato a sentire bruciore agli occhi, forti mal di testa, dolori alla gola: una volta fuori anche febbre, nausea e vomito. «Veniamo qui da 10 anni — ha raccontato Roman Bezvershenko agli attivisti di Greenpeace — e non era mai successo niente del genere». Qualcuno ha iniziato a scriverlo sui social, altri hanno confermato: «Siamo stati male». Finché i sintomi non sono comparsi anche in chi su quella spiaggia ci camminava e basta. «Abbiamo capito che c’era qualcosa di chimico nell’acqua», che nei giorni successivi si è riempita di schiuma gialla. Fino all’allarme: spiaggia chiusa, vietato avvicinarsi, sta succedendo qualcosa di grave. Ma che cosa?
È l’ultimo dei misteri russi. Il veleno della Kamchatka ad oggi non ha un padrone. Ma la risposta forse si cela nel risiko militare. Il comitato investigativo di Mosca ha analizzato le acque del golfo: c’è una concentrazione di sostanze oleose quattro volte superiore alla norma, e di due volte e mezzo di fenoli.
Ipotesi ufficiali per ora non ce ne sono. Ma gli attivisti per l’ambiente sostengono che possa esserci stata una perdita di carburante per missili in una base militare sul fiume Nalychev, che sfocia proprio lì, forse a causa di un movimento sismico (l’area è piena di vulcani) o di un errore durante un’esercitazione. Da decenni la penisola è un centro nevralgico per l’esercito russo, che qui ospita la sua flotta di sottomarini del Pacifico. Ma il governatore Vladimir Solodov sostiene che un laboratorio di Mosca «non ha trovato tracce del propellente per i razzi» di cui si parla con insistenza. E il ministro dell’Ambiente Dmitry Kobylkin smonta «l’ipotesi della mano dell’uomo» dietro il disastro, «che non è una catastrofe: non ci sono morti né feriti». Eppure almeno 8 persone sarebbero finite in ospedale. E secondo Greenpeace Russia, che pubblica immagini satellitari della macchia oleosa in movimento lungo la costa e continua le proprie indagini parallele portando scienziati e sub nella zona, «almeno il 90% della vita sottomarina profonda è già morto». I racconti dai fondali danno i brividi: «Ci sono foche — dice chi si immerge — che si comportano come fossero in trance, e cercano di stare in superficie». E presto il dramma ecologico potrebbe spostarsi altrove e coinvolgere le aquile di mare di Steller: uccelli rari e protetti che si nutrono di quei pesci, ora «bolliti» dal veleno.