I pascoli «artificiali» con gli scienziati Cnr Arrivano gli ovili 4.0
Prove di sviluppo sostenibile e, anzi, di rigenerazione per i pascoli taliani e in particolare per quelli degli ovini sardi. Il sistema pastorale che regge la filiera del pecorino — settore nel quale la Sardegna è leader nel mondo — è un modello industriale che si confronta con le complessità dei mercati internazionali, delle tensioni sul commercio, dei dazi. Ma che sembra aver trovato la formula per tenere insieme tradizione, riduzione di C02 — come noto gli allevamenti intensivi sono grandi produttori di emissioni — e difesa del suolo. Come? Organizzando tempo e spazio di pascolo secondo un metodo che permette alla vegetazione di continuare a crescere e agli animali di nutrirsi in modo naturale spostandosi con una determinata cadenza da un terreno all’altro. «Less is more», con meno si produce di più, viene da pensare leggendo la storia di Gavino Arca, pastore della Nurra che collabora con gli scienziati del Cnr di Sassari. Arca ha dimezzato le sue pecore agli attuali 250 capi. Prima i costi erano insostenibili, perché la maggior parte del mangime andava acquistata da terzi. Oggi è pressoché autosufficiente.
La storia di Gavino — emblematica per l’economia dell’Isola che conta un numero di pecore tre volte superiore a quello degli abitanti — è una delle perle raccolte da Fabio Ciconte in «Fragole d’inverno». Nel libro in uscita oggi per Laterza, il direttore dell’associazione ambientalista Terra! e portavoce della campagna Filiera Sporca, autore di numerose ricerche sul clima, si occupa di abitudini di consumo alimentare e riscaldamento globale.
Nei terreni di Gavino, il team di ricercatori del Cnr guidati da Enrico Vagnoni ha realizzato un pascolo «artificiale» di quattro ettari. Artificiale è una definizione impropria: si tratta di un terreno ormai ricco di vegetazione spontanea di piante autoctone perennanti, che non avrà più bisogno di essere seminato. Quanto alla CO2, quella emessa in un ettaro coltivato in maniera estensiva è di circa il 50% inferiore al semiintensivo. Se poi si considera il carbonio sequestrato, spiega Ciconte, il vantaggio aumenta: in un terreno dove le pecore possono pascolare l’assorbimento di carbonio è maggiore rispetto allo stesso suolo coltivato a foraggio.