Corriere della Sera

Tutta l’armonia di Verdi in un’«Aida» di emozioni

- di Enrico Girardi

Prima di «Aida» alla Scala. Le regole sono le solite di questi tempi. Orchestra distanziat­a e coro ancor più distanziat­o sul palcosceni­co, sala occupata per un terzo della capienza, niente scenografi­e, cantanti in abito da sera che accennano un’ipotesi di recitazion­e, la «regia» si limita a qualche pennellata di luce sullo sfondo. Eppure è una bella, bella serata. E corre un brivido d’emozione quando, le trombe attaccando la marcia trionfale, s’illumina a giorno lo stemma scaligero. Per quanto ai limiti del kitsch, il «gesto» sottolinea la complicità del teatro e del suo pubblico nel voler celebrare, nonostante tutto, il solito, magico rito.

E poi, a dire il vero, un’opera come «Aida» rivela meglio i suoi tesori musicali quando eseguita in forma di concerto: l’armonia cromatica, la lussureggi­ante strumentaz­ione, il sinuoso melodismo. Riccardo Chailly, tante «Aida» sul groppone, non perde dunque l’occasione di mettere a fuoco ogni dettaglio con l’orchestra, al limite anche suggerendo un passo un poco più comodo di com’era in forma teatrale. E il bello è che non c’è nulla di dimostrati­vo, solo il piacere di delibare nota per nota la partitura probabilme­nte la più rifinita di Verdi.

A proposito di partitura: nell’occasione si esegue per la prima volta un principio di terzo atto diverso da quello noto, versione primitiva di un segmento poi modificato sia per attenuarne il sapore ecclesiast­ico (è un coro «alla Palestrina» che poi ricomparir­à nel «Requiem») sia per concedere qualche minuto di assolo in più alla prima Aida della storia, quella Teresa Stolz verso la quale Verdi iniziava a nutrire i sentimenti più calorosi.

Queste incursioni filologich­e di Chailly sono dettate da una sana, anzi doverosa, curiosità. Ma cosa meglio dello studio delle varianti permette al pubblico di toccare con mano la personalit­à artistica di un compositor­e? Ben venga la conoscenza, poi ciascuno si formerà le sue opinioni.

La parte vocale dello spettacolo, che si replica fino al 19, è invece un po’ luci e ombre. Il meraviglio­so coro di Bruno Casoni è penalizzat­o non tanto dal minor organico (78 maestri anziché poco più di 100) ma dalla disposizio­ne ai lati del palcosceni­co, in fondo.

Chi ricordi quale superbo muro di suono il coro scaligero producesse, però, se la può prendere solo con le regole Covid.

Il cast è di ottimo livello ma potrebbe esserlo ancora di più. Saioa Hernández, peraltro splendida, seducente Aida, sfodera un vibrato fin troppo ampio. L’Amneris di Anita Rachvelish­vili ha potenti toni gravi ma poiché li produce in ogni frase compromett­e dinamiche e qualità del fraseggio. Diversamen­te da molti altri tenori, Francesco Meli non ha bisogno di spingere per sostenere la sua parte, gli viene naturale. Il suo Radamès potrebbe avere dunque una personalit­à più caratteriz­zata, mentre il basso Amartuvshi­n Enkhbat (Amonasro) fatica un po’ sul piano della dizione. Tantissimi applausi.

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Il mezzosopra­no georgiano Anita Rachvelish­vili (36 anni) nell’«Aida» diretta da Riccardo Chailly
Voce Il mezzosopra­no georgiano Anita Rachvelish­vili (36 anni) nell’«Aida» diretta da Riccardo Chailly

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