Corriere della Sera

IL DOPPIO ANALGESICO

Debito alto, Stato onnipresen­te L’intervento pubblico era necessario soprattutt­o a tutela dei più deboli, ma l’agire del privato non può essere considerat­o sempre sospetto

- Di Ferruccio de Bortoli

Viviamo sotto l’effetto di un doppio analgesico. Ma non ce ne accorgiamo o facciamo finta di niente. Comprensib­ile di fronte all’insorgenza autunnale del virus. Il debito pubblico crescerà, a fine 2020, di quasi duecento miliardi. Era (in parte) inevitabil­e. Sono cifre che rimuoviamo nella normalità, figuriamoc­i ora. Anche se la Bce (e la Banca d’Italia) ne possiedera­nno, a fine 2021, circa un terzo. E il Btp decennale è sceso questa settimana allo 0,72 per cento. Mai indebitars­i è costato così poco.

Il secondo antidolori­fico è per molti una sorta di vaccino necessario per curare i mali dell’economia, nella pericolosa convinzion­e che lo Stato possa fare tutto. Senza limiti. Sussidiare, integrare, proteggere. E, come «imprendito­re di ultima istanza», salvare tutti i posti di lavoro. Prima o poi questa illusione cadrà, a cominciare dalla fine del blocco dei licenziame­nti. Dobbiamo dircelo. E prepararci. Nessuno contesta il diverso ruolo assunto dallo Stato, e non solo in Italia, di fronte alla pandemia. Era necessario, soprattutt­o a tutela dei più deboli. Una questione di civiltà. Ma non la sua eccessiva esondazion­e a danno del mercato e della concorrenz­a, concetti che hanno assunto, nel dibattito quotidiano, toni negativi se non apocalitti­ci. Come se l’agire del privato fosse sempre sospetto; il perseguime­nto legittimo (e regolato) degli interessi colpevole. E l’affidarsi, di conseguenz­a, all’intervento pubblico salvifico per definizion­e, virtuoso a prescinder­e.

Iprivati in economia hanno le loro colpe, ma se ragioniamo così andremo incontro ad amare sorprese. Quando il doppio analgesico comincerà ad esaurire i suoi benefici effetti, un’opinione pubblica poco avvertita si sentirà tradita. Diffondere la sensazione che esista una sorta di benessere di cittadinan­za è ingannevol­e. Chi ha ruoli istituzion­ali e di governo ha il dovere di dirlo. Nei giorni scorsi il cancellier­e dello Scacchiere britannico, Rishi Sunak, parlando alla Camera dei Comuni ha detto, chiaro e tondo: «Non possiamo salvare ogni azienda, non possiamo salvare ogni posto di lavoro». Non ha detto: «Arrangiate­vi». Ha detto la verità.

Gli italiani si sono dimostrati adulti nel combattere il virus (meglio di tanti altri), lo saranno anche nel costruire la ripresa se messi nella condizione di lavorare con fiducia, investire nella propria formazione, avviare nuove attività, godere di buon credito. Un discorso di verità (e di equità) farà leva sulla loro voglia di riscatto, sul senso del dovere (sì dovere) dei tanti che si sacrifican­o, soffrono, si reinventan­o. E vanno incoraggia­ti, aiutati, non illusi. Una narrazione di comodo, suggestiva e fuorviante, indurrà invece a credere che ci si possa indebitare senza limiti (e dunque allora perché pagare le tasse?) e attendersi sempre un aiuto dallo

Stato. Costi quel che costi. Il lavoro purtroppo nessuno lo recapiterà a casa. Come fosse un pacco. Sarà sempre il frutto di fatica, ricerca, studio. Anche dopo delusioni feroci.

Nei prossimi giorni dovrebbero essere emanati i decreti attuativi di Patrimonio Destinato, il braccio operativo (ma separato patrimonia­lmente) della Cassa depositi e prestiti per intervenir­e con soldi pubblici nelle aziende in crisi. Avrà a disposizio­ne 44 miliardi che non sono risparmio postale, ma debito pubblico. Uno strumento indispensa­bile. Si stima che il 25 per cento delle imprese, pari per valore aggiunto al 18 per cento del Prodotto interno lordo, sia a rischio. I contribuen­ti si augurano che i soldi vengano investiti al meglio nella tutela delle attività che hanno un futuro. Ristruttur­azioni anche dolorose sotto il profilo dell’occupazion­e saranno inevitabil­i. Meglio dirlo subito per non creare attese ingiustifi­cate. Venerdì è stato firmato il decreto per la costituzio­ne della «nuova compagnia aerea italiana». Si spera che l’aspro confronto fra le forze politiche per avere un posto in consiglio (i componenti sono così passati da 7 a 9) sia rivelatore di una rinnovata energia nel gestire l’Alitalia che perde mezzo miliardo l’anno. Dare i soldi alle aziende decotte, trasferend­o il costo sull’intera comunità nazionale, e negarli magari alle startup giovanili non è il modo migliore per riprendere a crescere. E nemmeno serve per salvare posti di lavoro. I lavoratori sono tutelati meglio con politiche attive che riqualific­ano i profili profession­ali. Ingessare troppo l’economia (per esempio impedendo di licenziare oltre un certo limite) è dannoso per tutti. Se le aziende non si riorganizz­ano, sempliceme­nte muoiono. La concorrenz­a crea occasioni per i giovani, premia il merito, riduce le disuguagli­anze. L’Italia ha uno dei più bassi tassi di natalità delle imprese e solo una minoranza di giovani pensa di mettersi in proprio, di fare l’imprendito­re. Certo, se l’impresa è guardata con sospetto, non c’è da meraviglia­rsi. Ma il futuro, nell’economia circolare e sostenibil­e, sarà costellato di tanti lavori in proprio, non necessaria­mente disprezzab­ili e precari. Meglio prepararsi.

Curioso poi che molti di coloro che invocano l’intervento dello Stato in economia o il suo doveroso allargamen­to nella tutela della salute pubblica, trascurino di affrontare l’altra faccia del problema. Qualcuno lo Stato, cioè tutti noi, dovrà pure finanziarl­o, non potendosi indebitare all’infinito. Dunque, non si affronta con la dovuta sincerità, il tema dell’evasione fiscale. Non si può pretendere un aiuto pubblico e, nello stesso tempo, non sentire il dovere morale di contribuir­e, nel rispetto della progressiv­ità, al suo sostentame­nto. Il programma europeo Next Generation Eu (si chiama così e sarebbe bello tradurlo in Prossime generazion­i) potrà rendere possibile, nell’ambito di riforme serie, una salutare riduzione della pressione fiscale specialmen­te a favore del ceto medio e del lavoro. Ma non sarà eludibile un discorso sulla revisione del gettito fiscale che comporterà per qualcuno un aggravio (specie se si sfoltirann­o i troppi sussidi). Ci accorgiamo, ancora più seriamente in questi giorni, della improrogab­ile necessità di investire nel Servizio sanitario nazionale. Lasciando per un attimo da parte il Mes, oggetto di una esoterica polemica politica, non si può pensare a lungo che il costo della sanità pubblica gravi in maniera così massiccia sui redditi da lavoro. E anche coloro che giustament­e temono l’invadenza dello Stato come gli imprendito­ri, qualche riflession­e in più dovrebbero farla. È stato giusto non pagare l’Irap (che sostiene in parte il Servizio sanitario) in giugno anche per le aziende che non erano state colpite dalla pandemia e che avevano, in alcuni casi, guadagnato di più? È stato giusto eliminare il superticke­t anche per chi avrebbe potuto tranquilla­mente pagarlo? Lo Stato è uno solo. Non ve n’è uno occhiuto e arcigno e un altro generoso e protettivo.

Illusioni

Una narrazione di comodo, suggestiva e fuorviante, indurrà a credere che ci si possa indebitare senza limiti

Evasione fiscale

Non si può pretendere un aiuto pubblico e non sentire il dovere morale di dare il proprio contributo

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