«Bene la risposta alla crisi, ora cambiare passo»
«La politica monetaria continuerà a sostenere la ripresa. Se necessario pronti a fare di più Valorizzare e investire in innovazione e competenze»
Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, è alla sua seconda tempesta gestita al timone. Fu fra i primi a indicare la via d’uscita della crisi dell’euro in un’intervista al Corriere del luglio 2012. E i mesi della pandemia li ha passati «lavorando continuamente — dice — molto preoccupato». Il personale di Banca d’Italia si è dovuto inventare nuove modalità «comprando titoli per oltre 100 miliardi da casa, letteralmente». E Visco stesso ha passato i rari momenti di stacco giocando a scacchi con i nipoti di 7 e 9 anni «senza mai incontrarli, davanti a un computer». In questa intervista (su corriere.it la versione integrale) spiega come vede il futuro per l’Italia e l’area euro.
Competenze e innovazione decisive per spingere lo sviluppo
Restituire la fiducia alle imprese e alle famiglie
Governatore, come valuta la risposta dell’economia italiana allo choc di Covid-19 e i rischi di una seconda ondata? «In tempo di pace non avevamo mai visto una caduta così pronunciata dell’attività economica, ma il recupero sta andando più o meno come previsto. Anche la ripresa dei contagi, pur se da noi ancora meno intensa che altrove, era stata messa in conto. Nuove misure di chiusura possono essere evitate se mettiamo a frutto l’esperienza che ha portato il nostro Paese a uscire prima di altri dalle fasi di tensione più acuta. In Banca d’Italia restiamo dell’idea che siamo in una fase di progressivo recupero. Il governo con la prossima manovra di bilancio punta a ottenere una crescita vicina al 6% per il 2021, noi a luglio avevamo previsto qualcosa intorno al 5%. Ma anche solo disegnare scenari è difficile perché buona parte della caduta è dovuta non solo all’offerta, ridottasi a causa delle chiusure, ma anche alla domanda. Il risparmio è salito perché non si poteva spendere, ma anche a causa dell’incertezza. Se questa persiste gli effetti possono essere anche più negativi. Dobbiamo fare di tutto per ridurla».
Fine del blocco dei licenziamenti, banbanche che, diseguaglianze: quali sono le incognite che la preoccupano di più?
«Lo stato di incertezza in cui oggi viviamo è caratterizzato da tre fattori. Il primo è sanitario, riguarda la durata della pandemia, i tempi per produrre e distribuire un vaccino. Il secondo è più soggettivo e psicologico: a fronte dell’incertezza le imprese e noi tutti come consumatori tendiamo a procrastinare, a non consumare né investire. In più ci sono i riflessi di comportamenti simili che si verificano all’estero; tutto ciò può causare una caduta prolungata della domanda aggregata. Questo è il fenomeno economico che mi preoccupa di più: un problema molto keynesiano, se vogliamo. La propensione al risparmio sale, il consumo aggregato scende, ma ciò a sua volta fa sì che ci sia meno attività produttiva, meno occupazione, meno reddito, cosa che finisce per ridurre il risparmio complessivo anche se, paradossalmente, tutto è partito dal tentativo che ciascuno stava facendo di far crescere il proprio. Contro questa spirale negativa, bisogna intervenire con la politica di bilancio e la politica monetaria. È essenziale continuare ad avere politiche accomodanti finché questa componente legata all’incertezza non scompare. Poi c’è un terzo fattore: non sappiamo come ne usciremo».
Che intende dire?
«Quale sarà il “nuovo equilibrio”, ci sarà un new normal? Finché non si capisce cosa sarà il nuovo mondo – magari con più digitale, con modifiche nelle attitudini di consumo, un turismo diverso e più regolato – la struttura della produzione e la natura degli investimenti non saranno definite e potremmo vivere una transizione complicata. Questo è il quadro che più mi preoccupa, perché oggi è difficile dare risposte».
La Banca centrale europea chiede alle di iscrivere fra i crediti deteriorati le posizioni più difficili. Non si rischia di imporre una stretta prematura al credito?
«Di fronte a valutazioni di alta probabilità di insolvenza, bisogna che le banche ne tengano conto: hanno capitale in eccesso da utilizzare. Le banche hanno avuto un aumento consistente dei coefficienti patrimoniali quest’anno, anche perché non hanno distribuito dividendi e così hanno costituito un cuscinetto. Quel cuscinetto serve per utilizzarlo in una fase del genere. Le inadempienze molto probabili e le sofferenze conclamate non possono essere mantenute in bilancio senza sufficienti rettifiche di valore; altrimenti ne deriverebbe un grave problema anche in tempi non lunghi. Ci vuole equilibrio e l’autorità di vigilanza sa bene che una crescita dei crediti deteriorati è inevitabile. Ma se non mettiamo subito in bilancio ciò che manifestamente non può essere recuperato, le banche accumuleranno perdite tali da richiedere interventi di ricapitalizzazione rapidi e sostanziali, magari in condizioni di mercato difficili. Peraltro ci sono situazioni diverse e le banche più piccole possono avere maggiori difficoltà, anche per i loro rapporti con molte piccole imprese oggi più vulnerabili. Serve un’analisi onesta: se un’impresa non può essere rimessa in sesto, bisogna pensare ad altri interventi che il governo può fare che riguardano, ad esempio, sussidi per la disoccupazione e sostegno dei redditi».
Governatore, sta tornando un rischio di deflazione in area euro e in Italia?
«L’Italia è in linea con la media europea, non c’è differenza. La ragione ultima della variazione negativa è legata ai prezzi dell’energia, che sono crollati. Era del tutto previsto e non è straordinariamente rilevante. Tuttavia anche al netto di questo le variazioni dei prezzi tendono a essere molto basse, se non negative, e si è creata una distanza, da colmare, dal nostro obiettivo di stabilità dei prezzi, con effetti che possono essere pericolosi. La bassa inflazione può portare a mantenere basse le aspettative di variazione dei prezzi, queste a loro volta influenzano la crescita dei salari e, nuovamente, gli stessi prezzi. I tassi d’interesse nominali sono fermi ed è difficile riuscire a farli scendere ancora di più. A quel punto i tassi reali possono salire, con effetti negativi sulla domanda e un impatto anche sul debito, che salirebbe in termini reali. Il debito, sia pubblico che privato, in Europa è già alto e crescerebbe ancora con la deflazione: è il classico meccanismo debito-deflazione, che è prevalso per esempio durante la Grande Depressione».
È uno scenario molto pericoloso, no?
«Per questo la politica monetaria deve essere espansiva e restarlo a lungo nel tempo. Su questo vi è un consenso ampio, e la storia – anche recente – ha dimostrato che con la