Meno ideologia e più pragmatismo, la ricetta per i rapporti tra gli Stati
Nelle scorse settimane gli Stati membri dell’Unione Europea hanno frequentemente deplorato il brutale trattamento poliziesco con cui il leader bielorusso, Aleksandr Lukashenko, tratta i suoi connazionali quando scendono nelle piazze per protestate contro gli scandalosi brogli delle ultime elezioni. Più recentemente, nel corso di un incontro al vertice dei suoi rappresentanti, l’Ue ha annunciato sanzioni contro quaranta persone che sono accusate di appartenere alla macchina repressiva. Queste sanzioni, come quelle inflitte dall’Onu e da altre organizzazioni, sono soprattutto economiche quando colpiscono uno Stato, ma possono anche pregiudicare la libertà di movimento dei singoli «imputati». Introdotte dalla Società delle Nazioni fra le due guerre (dopo l’attacco all’Etiopia, nell’ottobre del 1935, l’Italia fu uno dei primi Paesi a farne le spese), sono diventate sempre più frequenti dopo la fine della Seconda guerra mondiale e colpiscono ora anche i Paesi che, come nel caso della Bielorussia, non osservano i precetti della democrazia: libertà di parola e di stampa, rispetto dei diritti umani e civili, fra cui quello di esprimere pubblicamente dissenso per la linea politica del proprio governo. Dietro le sanzioni vi è un ambizioso disegno: estendere la democrazia all’intero pianeta.
Queste intenzioni hanno avuto l’effetto di introdurre nelle relazioni internazionali una forte connotazione ideologica. Ma anche i Paesi del blocco sovietico avevano la loro ideologia e anche l’Urss in particolare, voleva un mondo migliore. Andrej Gromyko, ministro degli Esteri sovietico per quasi trent’anni, elogiava la lotta di classe contro l’imperialismo; e quando l’Unione Sovietica intervenne militarmente in Cecoslovacchia per stroncare le riforme progettate da Aleksandr Dubcek, dichiarò di non potere permettere che la Repubblica cecoslovacca venisse privata dei suoi progressi socialisti. Più tardi nel 1987, quando il segretario generale era Gorbaciov, disse al Politburo: «Anche tra mille anni il socialismo sarà portatore del bene nei confronti del popolo e di tutto il mondo».
Il risultato di queste contrapposizioni fu una guerra fra due ideologie, fortunatamente fredda, ma non priva di rischi, che durò quaranta anni. Le ideologie sono religioni laiche, affascinanti, eccitanti, ma pericolosamente retoriche, illusorie e ingannevoli. Le politiche estere, invece, dovrebbero essere laiche, pragmatiche e realistiche. Invece di pronunciare sanzioni contro i cattivi allievi del corso di laurea in democrazia, converrebbe tornare ai tempi in cui i Paesi perseguivano interessi concreti, magari discutibili, ma sempre negoziabili. Un gentiluomo inglese, antenato di Churchill (il Duca di Marlborough) diceva spesso che l’interesse non mente mai.