Corriere della Sera

ITALIANI

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non trovano il coraggio di raccontars­i».

Sarà uno sprone anche per gli uomini?

«Il mondo del calcio è pieno di pregiudizi e di omofobia. Non biasimo chi non fa coming out. Per molti uomini il non farlo è una forma di protezione. Credo che sia giusto farlo quando si è pronti, quando si è sicuri di poter togliere la maschera e non rimetterla più».

Quanto è stata importante Nicola in questa scelta?

«Moltissimo. Lei ha ricevuto un’educazione diversa: in Australia, come in molti altri Paesi del mondo, il fatto che due persone dello stesso sesso si amino non interessa a nessuno. Lei stessa, nei primi tempi della nostra storia, quando veniva in Italia, si meraviglia­va del peso che diamo a queste scelte. E solo con lei sono riuscita a essere vera, senza maschere. Adesso non mi nascondo più».

Eravamo rimaste alla gaffe fatta a Tokyo. È andata che vi siete sposate due volte.

«La proposta gliel’ho fatta nel giorno del mio quarantott­esimo compleanno. Avevo comprato gli anelli, avevo ripassato per ore la frase “vuoi sposarmi?”. Sono una donna tradiziona­le, sì, anche in questo caso sono rimasta me stessa. E credere che prima nella mia vita non avevo mai pensato al matrimonio. Ci siamo sposate una prima volta a Bristol, sul piroscafo SS Great Britain e poi in Australia».

Papà che ha detto?

«Gli dissi: “Papà, mi sposo”. E lui: “Bene!” “Sì, ma non con un uomo”. “Va bene! Basta che tu sia felice”».

Lui l’ha sempre incoraggia­ta in campo?

«Se lui avesse pensato — come molti facevano allora e fanno oggi — che il calcio femminile è uno sport per uomini mancati e non ci avesse visto una prospettiv­a, io non avrei il trofeo della Hall of fame del calcio italiano. Non ho mai detto “Da grande voglio giocare a pallone”, ho giocato e basta. E dico: non chiedete il permesso di fare una cosa che vi fa stare bene. Fatela. Assecondat­e il vostro talento. Sarà dura, ma vi sentirete vivi, veri e speciali».

Forse è questo il punto: molti genitori di potenziali calciatric­i non vedono «una prospettiv­a» nel calcio femminile, almeno in Italia. E finiscono per scoraggiar­le. È così?

«È anche così. Il punto è squisitame­nte culturale: da noi il calcio femminile è soffocato da stereotipi che lo rendono poco appetibile, sì, parlo anche di sponsorizz­azioni. Dunque, si deve cominciare a scuola, si deve far capire alle ragazze che anche nel calcio ci può essere una carriera e poi, naturalmen­te, ci si deve attivare perché questo si possa realizzare. E poi ci vuole qualità: il calcio femminile si merita gente

Senza maschere

Nicola è cresciuta in Australia, dove il fatto che due persone dello stesso sesso si amino non interessa a nessuno. Solo con lei sono riuscita a essere senza maschere

Un figlio

Io e Nicola desideriam­o un figlio. A 39 anni ero single e determinat­a, provai a diventare madre senza riuscirci. Con mia moglie oggi mi sento nel momento giusto

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Sul campo Carolina Morace ha guidato la Nazionale dal 2000 al 2005

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