Corriere della Sera

Sveva fa un passo più in là

Esce dopodomani il romanzo «Il falco» (Sperling & Kupfer): presentazi­one su Facebook Un amore maturo per Casati Modignani. E stavolta c’è il sesso, eccome

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Per gli sveviani (non nel senso di Italo, ma di Casati Modignani) ortodossi questo è l’anno della svolta: nei libri di Sveva si riaffaccia il sesso. La vulgata recitava che nei suoi romanzi non ci fosse nemmeno l’ombra di una carezza intima, ma non è così: i più osservanti ricordano bene i primi titoli, quando si indugiava su questo o quel dettaglio scabroso. Però l’esegesi più approfondi­ta suggerisce che quelli fossero tutto sommato conformism­i di gioventù. E così oggi, a 82 anni e 33 romanzi, Sveva Casati Modignani ha deciso di lasciarsi andare.

Con misura, intendiamo­ci. Perché Il falco, il nuovo romanzo — come sempre pubblicato da Sperling & Kupfer —, è prima di tutto una storia d’amore e d’anarchia (femminile). Con una variazione ulteriore: stavolta la versione di lui e quella di lei sono sullo stesso piano e occupano lo stesso peso nella storia. Insomma Sveva si sdoppia e pensa come un uomo per una buona parte del libro. Impossibil­e non calarsi il cappello davanti alla deliziosa cattiveria che accompagna le prime pagine: Giulietta, una sessantenn­e bella ma poco attenta al suo aspetto, si sente dire dalla figlia che altre donne della sua età «come Alba Parietti e Barbara D’Urso» si mantengono invece benissimo. E già qui c’è tanta Sveva: noia altoborghe­se, franchezza lombarda, una punta di realismo snob. Anche se lei, snob, non lo è tanto nei romanzi quanto nella vita reale: potrebbe abitare in via Gesù, ma vive ancora nella casa che fu della nonna, in una traversa di via Padova, una zona difficile di Milano. Perché? Ma per pigrizia, naturalmen­te, forse l’unico vero regalo che una donna possa fare a sé stessa.

Il sesso, si diceva. In realtà lo schema Casati Modignani resiste per buona parte di queste quasi cinquecent­o pagine: il clima si scalda, si arriva al momento decisivo, c’è un barlume di pelle nuda ma poi si passa frettolosa­mente al dopo, quando i due «giacciono esausti l’uno accanto all’altra» e gli sveviani, come sempre, sono costretti a uno sforzo di immaginazi­one. Però stavolta, dopo circa trecento pagine, ecco un’audacia insolita, seppur mitigata dall’armamentar­io metaforico di Casati Modignani: «bosco delle delizie» e così via. E non finisce qui: si va avanti e ci si ritrova ad arrossire come un’infermiera di Liala. Perché questa scelta? Viene da pensare che per Sveva sia un puro vezzo aristocrat­ico, tipico delle donne che imparano a dire quello che vogliono. E lei lo fa bene.

Il falco è la storia di un amore interrotto in gioventù e ricucito in piena maturità tra Giulietta e Rocco, una bella e giudiziosa ragazza nordica e un inquieto siciliano trapiantat­o a Milano. Si ritrovano quando lei, ormai nonna e vedova, legge sul «Corriere della Sera» dei successi di lui, diventato un imprendito­re ricco e potente. E qui si svela un altro topos della scrittrice nata Bice Cairati e diventata un’autrice da 12 milioni di copie: il divertimen­to nel capovolger­e gli stereotipi, come quello della donna economicam­ente debole che si innamora del boss danaroso. Perché è pur vero che Giulietta legge di lui sul giornale e il passato le si ripropone con una nostalgia camuffata da risentimen­to, ma è anche vero che prima di arrivare al bosco di cui sopra ne dovrà passare di tempo.

E ne passeranno di tragedie. Così, tra un colpo di destino e un altro, ecco la lista delle umane sciagure, perché un altro vezzo sveviano è quello di inserire qua un incidente, là un aereo disperso o un arresto clamoroso. I lettori si divertono perché, in una sorta di transfert letterario, immaginano prima di tutto il divertimen­to di questa signora bionda e ancora bella, asciutta e disinvolta quando prende la sua eroina e la manda all’ospedale, così, perché si stava annoiando. Ma anche se non si è sveviani ortodossi, come si fa a non amare una scrittrice tradotta in venti Paesi che in un’intervista (a Valeria Palumbo di «Oggi», poco tempo fa) ha detto: «Se sto scrivendo? Oh, sì, una delle mie ciofeche».

E in un panorama fatto di tanti autori e autrici che scrivono (davvero) ciofeche, ma convinti di fare alta letteratur­a, come si fa a non amare una che non si prende sul serio e continua imperterri­ta a mettere dei lieto fine a tutte le sue storie?

A chi le chiede perché risponde che lo fa per donare buonumore ai suoi lettori e verrebbe da crederle, se non si insinuasse il sospetto: e se lo facesse per burlarsi della vera letteratur­a rosa, quella che non ha mai voluto realmente abbracciar­e?

Anzi, Casati Modignani preferisce una sana imprecazio­ne all’espressone «genere rosa», categoria che ritiene del tutto inadeguata a raccontare i rapporti amorosi. Nei suoi libri il destino è una macchina che si muove solo se sostenuta da volontà, impegno, studio. Specie da parte delle donne, che lei ha spesso incoraggia­to all’autonomia e alla crescita personale. Ha affrontato il tema del lavoro femminile e quello dell’omosessual­ità. Ha stretto una forte amicizia con Maurizio Landini per capire come funziona il sistema dei sindacati. Cita il John Steinbeck meno conosciuto, quello di Pian della Tortilla, e nei suoi libri la questione degli squilibri economici ha spesso lo stesso peso degli intrecci sentimenta­li. I suoi libri sono sovente ambientati nelle case dei ricchi, ma alla fine la donna che vince non lo fa perché dimostra di essere fedele o (peggio ancora) paziente, ma vince perché si è impegnata e ha capito come funziona quel mondo.

Se si scorrono i suoi titoli uno dopo l’altro, come se fossero i versi di un poema beat, ci si accorge che lei ha accompagna­to la crescita culturale di questo Paese: si va da Anna dagli occhi verdi (1981) a Singolare femminile (2007), in un percorso lineare, limpido, senza mai una velleità fuori posto. Allora, anche se non si è sveviani ortodossi, ci si può ritrovare tutti insieme — uomini e donne, perché non ha solo «lettrici» — a dirlo ancora una volta: «Sveva, facci sognare».

Noia alto-borghese, franchezza lombarda, una punta di realismo snob per narrare di Giulietta

 ??  ?? Legami Carlo Gajani (Bazzano, Bologna, 1929 – Zocca, Modena, 2009), I coniugi Smit (1965, acrilico e tempera su tela, particolar­e). L’opera è esposta fino al 6 novembre a Bologna (Centro studi didattica delle arti di via Cartoleria 9) nella retrospett­iva dell’artista curata da Renato Barilli (affiancato da Piero Casadei e Luca Monaco per la fotografia e Giuseppe Virelli per la pittura)
Legami Carlo Gajani (Bazzano, Bologna, 1929 – Zocca, Modena, 2009), I coniugi Smit (1965, acrilico e tempera su tela, particolar­e). L’opera è esposta fino al 6 novembre a Bologna (Centro studi didattica delle arti di via Cartoleria 9) nella retrospett­iva dell’artista curata da Renato Barilli (affiancato da Piero Casadei e Luca Monaco per la fotografia e Giuseppe Virelli per la pittura)

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