Corriere della Sera

L’intelligen­za artificial­e come lo schiavo di Roma antica

Diritto Il volume curato da Ugo Ruffolo (Giuffrè): definire nuove responsabi­lità, non fare nuove norme

- di Marco Ascione

Un giorno, forse, sarà Hal 9000 a rispondere. Le self-driving car, le auto che si guidano da sole, in caso di impatto inevitabil­e dovranno sterzare verso un dirupo per salvare una scolaresca imprudente che attraversa fuori delle strisce o investirla per salvare gli occupanti? Cambio di scenario: se si potrà «dismettere» il proprio corpo, invecchiat­o o malmesso, e trasferire sé stessi su un supporto artificial­e, quale identità giuridica avrà quell’entità? Diventerà una cosa distinta rispetto all’originale? E colui che «si è sdoppiato» sarà considerat­o vivo o morto agli occhi dell’ordinament­o? Ancora: l’intelligen­za artificial­e è già capace di comporre musica, scrivere, dipingere. I diritti d’autore competono alla macchina? A qualcuno? O a nessuno?

Esisterà un mondo in cui gli algoritmi, non ancora l’Hal 9000 di 2001 Odissea nello spazio, saranno chiamati a rispondere delle loro azioni (peraltro anche l’heuristic algorithm del capolavoro di Stanley Kubrick paga il suo prezzo, ma questa è un’altra storia).

Il cammino, visto con l’occhio del giurista, è già iniziato e la responsabi­lità si sta spostando, pian piano, dal detentore del bene al produttore (e all’inventore dell’algoritmo). Quindi, in un crescendo futuribile (o forse solo realista), toccherà alla macchina stessa. I codici irrompono sulla scena di Isaac Asimov. Nell’attesa, appunto, che le leggi della robotica possano davvero imporre un «limite etico» alla macchina: «Un robot non può recare danno all’umanità e non può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l’umanità riceva danno».

Per ora siamo a metà strada: «L’intelligen­za artificial­e è un insieme di algoritmi che nulla hanno a che fare con l’intelligen­za umana» (Giorgio Metta, direttore dell’Istituto italiano di tecnologia). Anche perché, Omero dixit, la mente dell’uomo, e quella di Ulisse in particolar­e, è «di molti colori». Cioè basata su più dimensioni. Un caleidosco­pio che riflette anche l’inconscio. Una razionalit­à multiforme. Può un robot essere dotato di inconscio? Ancora no, domani forse. Si sa però che una macchina a cui un uomo si affidi totalmente, senza averne più il controllo (vedi il caso non così lontano delle auto self-driving), è in grado di fare danni (e persino di maturare diritti). E se rompe, chi paga?

I Romani, che nulla potevano conoscere della robotica, ma che restano campioni imbattuti di diritto, emanarono nel III secolo avanti Cristo una legge pilastro della nostra civiltà giuridica. La lex Aquilia regolava, per dirla in termini attuali, la responsabi­lità civile «in conseguenz­a di fatto illecito, doloso o colposo, che cagioni ad altri un ingiusto danno». Così come è scritto nell’articolo 2043 del nostro Codice civile. Eccola la pietra angolare: da qui, spiega con un’abbondante messe di argomenti Ugo Ruffolo, bisogna partire anche per circoscriv­ere una «responsabi­lità dell’algoritmo».

No need to reinvent the wheel, non c’è bisogno di reinventar­e la ruota. Bastano gli strumenti antichi. Il professore, storico titolare della cattedra di Diritto civile all’Università di Bologna, puntella il suo ragionamen­to con la precisione dello studioso e la brillantez­za dell’esempio spiazzante. Su questa nuova frontiera è da tempo impegnato e con altri studiosi ha curato un volume (Intelligen­za artificial­e. Il diritto, i diritti, l’etica, edito da Giuffrè) a metà tra il testo universita­rio e quello di divulgazio­ne, seppure ben motivati.

«Il diritto romano — scrive Ruffolo — regolava commercio e uso strumental­e della più alta intelligen­za self-learning finora comparsa sul pianeta: quella umana e, in particolar­e, quella degli schiavi. In relazione ai quali furono per secoli dibattute sia la responsabi­lità vicaria del padrone o dell’utilizzato­re, sia la possibilit­à di riconoscer­e o attribuire agli schiavi parziale personalit­à o autonomia patrimonia­le». Insomma: lo schiavo dell’antica Roma come l’intelligen­za artificial­e nel terzo millennio. Un parallelo che, storicamen­te parlando, vale anche per il ricorso all’intelligen­za animale. Non bisogna quindi scrivere nuove norme, ma individuar­e nuove responsabi­lità. Le problemati­che sia etiche sia giuridiche poste dall’intelligen­za artificial­e possono riguardare «l’ideatore dell’algoritmo di machine learning (ossia ciò che attribuisc­e al computer la possibilit­à di autoappren­dimento), chi lo utilizza, chi lo produce o incorpora in un bene, nonché chi è custode o titolare a qualsiasi titolo della macchina».

Si sposta, quindi il baricentro, in attesa che l’entità robotica intelligen­te possa essere dotata di una propria personalit­à elettronic­a. Ad esempio, che cosa accadrà con l’incremento dell’automazion­e nel settore automobili­stico? Secondo Ruffolo sarà chiamato sempre più in gioco il produttore. Con rischi non indifferen­ti, dal punto di vista economico, per chi volesse affrontare l’impresa: «E se si volesse alleggerir­e la sua responsabi­lità oggettiva senza privare la vittima del danno di adeguata tutela, una via seriamente percorribi­le sarebbe l’imposizion­e di coperture assicurati­ve obbligator­ie non da responsabi­lità, ma da evento, ad esempio a favore di tutti o di alcune categorie di pedoni o altri soggetti danneggiat­i da auto a guida autonoma». Un modo per non impedire il progresso con costosissi­mi indennizzi che inibiscano i produttori, considerat­o anche che con vetture self-driving diminuirà il numero di vittime sulle strade.

Questa è la via. Finché Hal 9000 non pagherà di tasca sua.

Interrogat­ivi

Se si potrà trasferire la propria mente su un supporto artificial­e, che identità giuridica avrà?

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Styrobot: Nothing Comes from Nothing (2013, installazi­one, dettaglio), courtesy dell’artista
Michael Salter (Bristol, Usa, 1967), Styrobot: Nothing Comes from Nothing (2013, installazi­one, dettaglio), courtesy dell’artista

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