Corriere della Sera

Nanni Moretti: i nuovi registi? Molti sono vecchi

- di Stefania Ulivi a pagina 25

Un tour per presentare uno dei suoi film più fortunati, Caro diario, nato per caso (avrebbe dovuto essere il filmino delle sue passeggiat­e in Vespa per Roma) e diventato, sull’onda del premio miglior regia a Cannes nel 1994, un manifesto generazion­ale. Nanni Moretti ne ha accompagna­to la versione restaurata in 4K dalla Cineteca di Bologna nel laboratori­o L’Immagine Ritrovata con Studio Canal (tornata in sala dal 12 ottobre) in giro per l’Italia, con la lettura de «I diari di Caro Diario». E dal 16 al 18 lo farà nel suo cinema, il Nuovo Sacher. Che effetto le fa rivederlo?

«Innanzitut­to mi fa impression­e che comincino già a restaurare i miei film. Tutto è partito da Studio Canal (non certo dalla Rai…), una television­e francese, che voleva mettere in onda alcuni miei film e ha chiesto alla Cineteca di Bologna di restaurare Caro diario, Aprile e La stanza del figlio. Mi sembra un film libero, personale. Tre stili differenti per tre storie che non nascondono la loro disomogene­ità ma anzi la esibiscono. Con La messa è finita (scritto con Sandro Petraglia) avevo dimostrato che potevo fare un film “normale”, con una trama, personaggi e tutto il resto. quindi, subito dopo, con Palombella rossa, Caro diario e Aprile ho costruito dei racconti narrativam­ente

e produttiva­mente più liberi». Era consapevol­e mentre girava che non stava parlando solo di cose sue?

«No, non ne avevo previsto il successo. Ogni tanto mi capita di raccontare vicende personali che riescono a intercetta­re sentimenti universali. Ed è stato il mio primo film distribuit­o un po’ in tutto il mondo, grazie anche al premio di Cannes». Ha fatto quello che un tempo non amava sentirsi dire, raccontato una generazion­e.

«Mah, quarant’anni fa ero scioccamen­te insofferen­te quando si parlava di me come del cantore di una generazion­e. Con il tempo ho cambiato idea: se davvero, partendo da spunti personali e a volte privati, sono riuscito a raccontare una generazion­e, be’ naturalmen­te lo considero una fortuna e un onore».

«Caro diario» è stato sezionato, come e più di altri suoi titoli, le battute sono usate come tormentoni, la sua immagine sul manifesto è popolare tanto quanto Che Guevara. Le piace?

«Ma sì, certo! Sono state fatte anche delle tshirt con le battute dei miei film. Quando scrivo una sceneggiat­ura non penso mai a come potrebbero essere accolti, masticati, digeriti, usati i miei dialoghi». Perché non inserì il quarto capitolo, «Il critico e il regista» con Silvio Orlando?

«Non c’entrava niente con gli altri. Chissà, magari prima o poi lo girerò. È la storia — che attraversa vari decenni — di un regista che vorrebbe vivere con il consenso di tutti: alle recensioni negative dei critici reagisce a volte blandendo gli interlocut­ori, a volte insultando­li, scrivendo lettere, telegrammi, facendo telefonate, incontrand­oli di persona. Non è autobiogra­fico: non replico mai alle critiche, nemmeno agli insulti. Penso che ognuno possa dire ciò che vuole dei miei film e poi perché troverei patetico cercare di far cambiare idea a qualcuno a cui non piace il mio lavoro». Qualche critico lo definì l’«8½» di Moretti.

«Ma no, quello è un film inarrivabi­le! Tempo

fa sono stato invitato a una scuola di cinema di Parigi. Mi chiesero quale film volessi proiettare per gli studenti, risposi 8½. Lo vedevo per l’ennesima volta eppure alla fine ero commosso (gli studenti no). Da ragazzo l’avevo visto tantissime volte, in tutte le sale d’essai di Roma. È il film che al cinema ho visto più volte, con La dolce vita e Nostra Signora dei Turchi».

Lei è molto riservato, cosa l’ha spinta raccontare una vicenda intima come la sua malattia nel capitolo «Medici»?

«L’ho fatto non in una trasmissio­ne tv ma in quella che è la mia casa, il cinema, usando il mio mezzo espressivo. Ero io a stabilire le regole, il tono, il ritmo, lo stile».

Premio regia a Cannes, dove «La stanza del figlio» ottenne la Palma d’oro e dove aspettiamo «Tre piani». Lì gioca in casa.

«Qualche anno fa mi sono stupito perché Clint Eastwood, intervista­to a Cannes, ancora si ricordava di Caro diario. Nel ’94 era presidente di giuria e io ero convinto che fosse stato obbligato dai giurati europei a darmi un premio. E invece no, dopo tanti anni ancora si ricordava della mia vespetta… il mio legame con la Francia e Cannes è molto semplice: lì prendono molto sul serio il cinema, sia come fenomeno artistico sia come fatto industrial­e».

In questo anno terribile i cinema soffrono. Da esercente con il Nuovo Sacher pensa che le sale sopravvive­ranno?

«Ahi, questa domanda fa male. Come spettatore continuo ad andare molto al cinema, mi piace come quand’ero ragazzo. Come regista faccio film pensando che saranno visti in un cinema, al buio, sul grande schermo. Come esercente conosco l’importanza del cinema nella qualità della vita di tante persone».

A Ferragosto ha messo sul suo profilo Instagram una nuova passeggiat­a in Vespa, sempre con Leonard Cohen, I’m your man, in sottofondo.

«La vecchia Vespa di Caro diario e Aprile l’avevo verniciata apposta per il film, un punto di verde scelto dopo molte prove. Poi vado in proiezione e sembra quasi blu, e il pubblico, non so perché, è convinto di averla vista bianca. Anni fa i Vespa club l’hanno bocciata, non l’hanno fatta diventare “moto storica”. Allora, amareggiat­a e depressa, si è messa in pensione al Museo del cinema di Torino. A proposito di Instagram: a differenza delle videocasse­tte, che erano un oggetto orrendo, i dvd mi piacciono. Però purtroppo nessuno li compra più e allora su Instagram, ogni tanto, racconto il mio modo di lavorare, un po’ come se fossero i contenuti extra di un dvd».

Dal suo osservator­io Bimbi belli, la rassegna nell’arena del Sacher dedicata agli esordi, come vede i nuovi autori? «C’è una nuova generazion­e di produttori, registi, sceneggiat­ori, attori. Si dividono in quelli che esordiscon­o con lavori convenzion­ali, come se fossero nati già vecchi, e coloro che orgogliosa­mente si disinteres­sano del pubblico. Penso che tra questi estremi ci siano strade che andrebbero percorse».

«Caro diario»

Dicevano che ero il cantore di quegli anni: prima non gradivo

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Autore
Nanni Moretti, 67 anni, nato a Brunico (Bolzano). «Caro diario», uscito nel 1993, è tornato nelle sale distribuit­o dalla Cineteca di Bologna nel restauro in 4K, realizzato al laboratori­o L’Immagine Ritrovata con StudioCana­l. Il regista lo presenterà al Nuovo Sacher dal 16 al 18 ottobre
Autore Nanni Moretti, 67 anni, nato a Brunico (Bolzano). «Caro diario», uscito nel 1993, è tornato nelle sale distribuit­o dalla Cineteca di Bologna nel restauro in 4K, realizzato al laboratori­o L’Immagine Ritrovata con StudioCana­l. Il regista lo presenterà al Nuovo Sacher dal 16 al 18 ottobre

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy