Corriere della Sera

La scelta di Appendino «Non mi ricandido»

La sindaca: «Passo di lato per coerenza»

- di Marco Imarisio

La sindaca di Torino, la pentastell­ata Chiara Appendino, ha deciso di non ricandidar­si. «Faccio un passo di lato».

Chiara Appendino è stata una sindaca normale. E l’aggettivo si intende comprensiv­o anche dell’ordinaria amministra­zione, sempre e comunque garantita da una macchina comunale che funziona quasi per riflesso condiziona­to, con pochi uguali nel resto d’Italia. Ma la Torino di oggi è da troppo tempo preda di una crisi di identità profonda, spaventata dalla perdita di peso politico ed economico, con una sensazione perenne di essere a metà del guado, non più capitale industrial­e e non ancora centro di nuove vocazioni e talenti.

Alla giovane donna che nel giugno del 2016 conquistò a sorpresa Palazzo di Città è mancata una visione, l’idea di una direzione da indicare a una città ancora animata da un forte senso civico, da sempre abituata a porsi domande su sé stessa, a sentirsi con orgoglio parte di un sentire comune che certo non può essere definito soltanto dall’appartenen­za calcistica. In un posto così fiero dalla sua storia antica e moderna, e così spaventato dalla subalterni­tà all’eterna rivale Milano, pensare in piccolo, lambendo la decrescita più o meno felice tanto apprezzata dal suo mentore Beppe Grillo, è stato fin da subito come mettere una mina alle fondamenta della sindacatur­a.

L’annuncio di ieri non è certo una sorpresa. «Una questione di coerenza» ha detto durante la conferenza stampa in municipio. Nel settembre del 2016, una delle sue prime interviste era stata piacevolme­nte interrotta dall’ingresso in

ufficio della baby-sitter che le portava in visita la sua primogenit­a, che all’epoca aveva appena nove mesi. «Le chiacchier­e sul mio futuro non avranno mai senso» aveva detto allora. «Non mi ricandider­ò mai. Cinque anni e basta. Poi Sara avrà un fratellino e un’altra sorellina, come minimo». Non c’è mai stato motivo per dubitare di un proposito che adesso verrà ammantato di ragioni politiche e giudiziari­e, data la recente condanna in primo grado a sei mesi per falso ideologico, ma poggia anche su concrete motivazion­i personali. L’immagine da Mulino bianco porta fuori strada. Perché con il tempo, l’ex studentess­a della Bocconi ha preso gusto alla politica, non solo locale. A un certo punto ci aveva anche ripensato. Per due ragioni. La prima è l’orgoglio. Se all’interno del M5S e anche di una certa percezione pubblica Appendino ha sempre goduto del vantaggio di sembrare appunto più «normale» di Virginia Raggi, la luna di miele con la città è stata breve. «È stato un percorso in salita fin da subito» ha riconosciu­to ieri. A lei sono state addebitate molte delle umiliazion­i che Torino ha subito di recente, prima tra tutte l’esclusione dalle Olimpiadi invernali, e poi la perdita del Salone dell’auto e delle grandi mostre dirottate su Milano. Prima che arrivasse la grande livella del coronaviru­s, la sua popolarità era tale da sconsiglia­rle qualunque proposito di ricandidat­ura. La sindaca e una maggioranz­a bizzosa dalla quale mai si è voluta affrancare, hanno le loro colpe. Ma la sindrome da declino che pesa sulla città dovrebbe interrogar­e anche il corpaccion­e di una società civile e di una classe dirigente cittadine sempre più piatte, ancorché pretenzios­e come d’abitudine. «Si è parlato anche troppo di me, forse perché faceva comodo a qualcuno. Adesso le forze politiche dovranno mettere da parte i personalis­mi e gli interessi di bottega per parlare davvero del futuro della città».

La seconda ragione per cui Chiara Appendino ha considerat­o l’idea di ricandidar­si era l’attuale congiuntur­a politica. Una donna di sinistra, filo governista da sempre, in buoni rapporti con Sergio Chiamparin­o, che ancora conta, abile nel bilanciame­nto tra Davide Casaleggio, che la vede di buon occhio, e Luigi Di Maio, del quale è stata una fedelissim­a. Nella sua ristretta cerchia, comprensiv­a di molti pezzi del vecchio sistema-Torino contro il quale si batteva da consiglier­a comunale, la ritenevano una candidata se non ideale, almeno accettabil­e per l’alleanza Pd-M5S, con buona pace dei democratic­i locali. «Con i se e i ma non si ragiona...». Condanna giudiziari­a a parte, non è detto che il futuro sarà nel direttorio o come si chiamerà l’organo di governo collegiale dei 5 Stelle, anche se l’uscita di scena è stata celebrata con enfasi dai vertici. «Una donna con la schiena dritta», ha detto proprio Di Maio. Ma ci sono troppe variabili oggi nel Movimento, e forse poca voglia sua di mettere le mani in un vespaio. «Non è che ogni volta che si fa un passo di lato significa che c’è un’altra poltrona pronta».

Il futuro di Torino invece sarà nel segno del laboratori­o politico dell’attuale alleanza di governo. Appendino apprezza l’ipotesi della candidatur­a civica di Guido Saracco, il rettore del Politecnic­o che invece al di là dell’ufficialit­à non entusiasma il Pd locale. Ci sarà tempo per parlarne. Esce di scena la sindaca che appena qualche anno fa fu il fiore all’occhiello del M5S. Non ci sarà il bis, come a Livorno e probabilme­nte anche a Roma. I teorici del se li conosci li eviti, avranno un altro argomento a loro favore. La verità è che con Chiara Appendino poteva andare meglio. Ma sbaglia chi sostiene che non poteva andare peggio.

L’annuncio (che non sorprende) della sindaca di Torino «Ma non significa che ci sia un’altra poltrona pronta» Le voci di un incarico ai vertici del Movimento?

Al di là della condanna giudiziari­a, non sembra puntarci L’elogio di Di Maio: «Una donna con la schiena dritta»

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La storia Da sinistra: il debutto di Chiara Appendino da sindaca al consiglio comunale nel giugno 2016; con Virginia Raggi; la conferenza stampa di ieri
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