La scelta di Appendino «Non mi ricandido»
La sindaca: «Passo di lato per coerenza»
La sindaca di Torino, la pentastellata Chiara Appendino, ha deciso di non ricandidarsi. «Faccio un passo di lato».
Chiara Appendino è stata una sindaca normale. E l’aggettivo si intende comprensivo anche dell’ordinaria amministrazione, sempre e comunque garantita da una macchina comunale che funziona quasi per riflesso condizionato, con pochi uguali nel resto d’Italia. Ma la Torino di oggi è da troppo tempo preda di una crisi di identità profonda, spaventata dalla perdita di peso politico ed economico, con una sensazione perenne di essere a metà del guado, non più capitale industriale e non ancora centro di nuove vocazioni e talenti.
Alla giovane donna che nel giugno del 2016 conquistò a sorpresa Palazzo di Città è mancata una visione, l’idea di una direzione da indicare a una città ancora animata da un forte senso civico, da sempre abituata a porsi domande su sé stessa, a sentirsi con orgoglio parte di un sentire comune che certo non può essere definito soltanto dall’appartenenza calcistica. In un posto così fiero dalla sua storia antica e moderna, e così spaventato dalla subalternità all’eterna rivale Milano, pensare in piccolo, lambendo la decrescita più o meno felice tanto apprezzata dal suo mentore Beppe Grillo, è stato fin da subito come mettere una mina alle fondamenta della sindacatura.
L’annuncio di ieri non è certo una sorpresa. «Una questione di coerenza» ha detto durante la conferenza stampa in municipio. Nel settembre del 2016, una delle sue prime interviste era stata piacevolmente interrotta dall’ingresso in
ufficio della baby-sitter che le portava in visita la sua primogenita, che all’epoca aveva appena nove mesi. «Le chiacchiere sul mio futuro non avranno mai senso» aveva detto allora. «Non mi ricandiderò mai. Cinque anni e basta. Poi Sara avrà un fratellino e un’altra sorellina, come minimo». Non c’è mai stato motivo per dubitare di un proposito che adesso verrà ammantato di ragioni politiche e giudiziarie, data la recente condanna in primo grado a sei mesi per falso ideologico, ma poggia anche su concrete motivazioni personali. L’immagine da Mulino bianco porta fuori strada. Perché con il tempo, l’ex studentessa della Bocconi ha preso gusto alla politica, non solo locale. A un certo punto ci aveva anche ripensato. Per due ragioni. La prima è l’orgoglio. Se all’interno del M5S e anche di una certa percezione pubblica Appendino ha sempre goduto del vantaggio di sembrare appunto più «normale» di Virginia Raggi, la luna di miele con la città è stata breve. «È stato un percorso in salita fin da subito» ha riconosciuto ieri. A lei sono state addebitate molte delle umiliazioni che Torino ha subito di recente, prima tra tutte l’esclusione dalle Olimpiadi invernali, e poi la perdita del Salone dell’auto e delle grandi mostre dirottate su Milano. Prima che arrivasse la grande livella del coronavirus, la sua popolarità era tale da sconsigliarle qualunque proposito di ricandidatura. La sindaca e una maggioranza bizzosa dalla quale mai si è voluta affrancare, hanno le loro colpe. Ma la sindrome da declino che pesa sulla città dovrebbe interrogare anche il corpaccione di una società civile e di una classe dirigente cittadine sempre più piatte, ancorché pretenziose come d’abitudine. «Si è parlato anche troppo di me, forse perché faceva comodo a qualcuno. Adesso le forze politiche dovranno mettere da parte i personalismi e gli interessi di bottega per parlare davvero del futuro della città».
La seconda ragione per cui Chiara Appendino ha considerato l’idea di ricandidarsi era l’attuale congiuntura politica. Una donna di sinistra, filo governista da sempre, in buoni rapporti con Sergio Chiamparino, che ancora conta, abile nel bilanciamento tra Davide Casaleggio, che la vede di buon occhio, e Luigi Di Maio, del quale è stata una fedelissima. Nella sua ristretta cerchia, comprensiva di molti pezzi del vecchio sistema-Torino contro il quale si batteva da consigliera comunale, la ritenevano una candidata se non ideale, almeno accettabile per l’alleanza Pd-M5S, con buona pace dei democratici locali. «Con i se e i ma non si ragiona...». Condanna giudiziaria a parte, non è detto che il futuro sarà nel direttorio o come si chiamerà l’organo di governo collegiale dei 5 Stelle, anche se l’uscita di scena è stata celebrata con enfasi dai vertici. «Una donna con la schiena dritta», ha detto proprio Di Maio. Ma ci sono troppe variabili oggi nel Movimento, e forse poca voglia sua di mettere le mani in un vespaio. «Non è che ogni volta che si fa un passo di lato significa che c’è un’altra poltrona pronta».
Il futuro di Torino invece sarà nel segno del laboratorio politico dell’attuale alleanza di governo. Appendino apprezza l’ipotesi della candidatura civica di Guido Saracco, il rettore del Politecnico che invece al di là dell’ufficialità non entusiasma il Pd locale. Ci sarà tempo per parlarne. Esce di scena la sindaca che appena qualche anno fa fu il fiore all’occhiello del M5S. Non ci sarà il bis, come a Livorno e probabilmente anche a Roma. I teorici del se li conosci li eviti, avranno un altro argomento a loro favore. La verità è che con Chiara Appendino poteva andare meglio. Ma sbaglia chi sostiene che non poteva andare peggio.
L’annuncio (che non sorprende) della sindaca di Torino «Ma non significa che ci sia un’altra poltrona pronta» Le voci di un incarico ai vertici del Movimento?
Al di là della condanna giudiziaria, non sembra puntarci L’elogio di Di Maio: «Una donna con la schiena dritta»