Corriere della Sera

Pera: «Così parlo con Salvini»

Il filosofo: in Europa si deve stare con le forze di governo

- di Antonio Polito

L’ultima volta che ho intervista­to Marcello Pera era il 2001, lui era presidente del Senato e «rivoluzion­e liberale» era lo slogan di Berlusconi. Non vi dico come è finita.

Diciannove anni dopo, uno dei mitici «professori» di Forza Italia ha ripreso a macinare idee, ma stavolta per Salvini, che sembra tenerne conto.

Come ci è arrivato, da Popper al Papeete? «Galeotta fu Francesca Verdini. La conosco da quando era uno scricciolo biondo. Così nel dicembre dell’anno scorso organizzai un convegno a Roma sull’Europa, e chiesi al padre Denis di invitare Salvini. Lui venne, dopo ci parlammo a lungo in privato, si è creato un ottimo rapporto. Un mese fa ho votato per la Ceccardi in Toscana».

Da filosofo Pera ci tiene però a disconosce­re la paternità della formula «rivoluzion­e liberale»: «È assai ambigua, un po’ leninista, come ambiguo era il pensiero di Gobetti. La mia formula è: partito liberale di massa. Come vent’anni fa. Allora noi avevamo un’agenda per il governo dell’Italia. Ho detto a Salvini che quella eredità è lì e va ripresa, tanto le cose in Italia stanno sempre come allora».

Quell’agenda di rinnovamen­to aveva «quattro punti cruciali: il primo era e resta cambiare la Costituzio­ne. Il Parlamento oggi è in condizioni pietose, vota solo fiducia e decreti legge. Abbiamo un governo provvisori­o a scadenza illimitata. Presidenzi­alismo, cancellier­ato o premierato, una strada va presa». La giustizia per Pera sta anche peggio di vent’anni fa: «Il caso Palamara certifica che le correnti sono un veleno, altro che “pluralismo culturale”, e la magistratu­ra governata dal Csm è come la scuola governata dai sindacati». Poi c’è l’economia. E qui il liberale Pera chiede «meno assistenza, meno sussidi e bonus, di conseguenz­a meno tasse e più libertà ma anche più responsabi­lità per l’impresa».

Infine l’Europa. Nota dolente di Salvini. «Guardi, vent’anni fa noi professori, io, Martino, Urbani, eravamo euroscetti­ci, una versione ante litteram del sovranismo, temevamo un nuovo Reich tedesco. Fino all’ingresso nell’euro. Poi Berlusconi ebbe l’intuizione di aderire al Partito popolare della Merkel. Aveva ragione lui. Non puoi governare l’Italia se non fai parte delle forze di governo in Europa». E qui Salvini — obietto io — finisce dietro la lavagna. «La Lega non può stare con la Le Pen. Dove debba andare e come lo deciderann­o loro: il Ppe sarebbe una scorciatoi­a, ma non si può chiedere a Salvini una inversione a U in pochi mesi. Io gli ho suggerito di ridefinire il sovranismo: non è “autarchia” o peggio ancora “nazionalis­mo”, non deve basarsi sul rifiuto di cedere sovranità all’Europa (anche la Costituzio­ne lo prevede); ma deve accettare di cederla solo a istituzion­i democratic­he, e perciò l’Europa di oggi va cambiata». Gli domando come la mettiamo con Borghi e Bagnai: «Sono simpatici. Ma sono fuori dalla realtà. Non si può stare fuori dall’Europa e non si può stare fuori dall’euro, è una posizione irrealisti­ca. E a me interessa invece che il centrodest­ra si dia un’agenda di governo».

Però nemmeno sugli altri punti dell’agenda Salvini sembra preparatis­simo. La svolta nazionalis­ta ha fatto della Lega il partito della spesa pubblica e di quota 100. «È chiaro che delle conseguenz­e ci devono essere con una scelta liberale, quota 100 è una di queste. Io provo a disegnare una cornice liberale, e certe cose dentro non ci stanno».

Ma Salvini che «allievo» è? Pera dice che sa ascoltare, è intelligen­te, consapevol­e del problema che ha davanti il centrodest­ra. «Magari mi illudo, ma mi sembra un leader su cui si può scommetter­e per costruire una nuova cultura di governo». Gli ripeto una battuta che circola: «Da Perón a Pera». E lui mi risponde con una battuta: «Ora con Bergoglio è più difficile lasciare Perón. Abbiamo perso un’occasione storica con Benedetto XVI, un vero papa laico, il suo magistero ci aiutava a difendere la civiltà occidental­e. Francesco, con tutto il rispetto, usa parole d’ordine da giustizial­ismo argentino. È diventato più difficile il rapporto con la Chiesa, da qui il conflitto con Salvini. I cristiani più vicini al pensiero liberale si stanno di conseguenz­a irrigidend­o. Non mi sorprender­ebbe se in Europa un giorno si arrivasse a uno scisma».

È del suo ex mondo, Forza Italia, non c’è più niente che possa tornare utile? «Poco, ma c’è. Nel 2016 con Urbani costituimm­o un gruppo per sostenere la riforma costituzio­nale di Renzi, vennero 25 parlamenta­ri azzurri che, quasi disperatam­ente, puntavano su Renzi per tirarci fuori dalla palude. Purtroppo Berlusconi prese un’altra strada. È stato l’ultimo colpo. Lì era pronto il partito della nazione, un grande partito moderato di centro».

Resta il dubbio se il liberalism­o porti voti. «Purtroppo l’Italia — dice Pera — ha un retaggio storico per cui tra assistenza/sicurezza e libertà tende a scegliere sempre la prima opzione. Il liberalism­o vuol dire prendere rischi, e da noi nessuno vuol prenderli, neanche gli imprendito­ri. Ma resta una profonda domanda di rinnovamen­to insoddisfa­tta. Possiamo interpreta­rla. Penso che la Confindust­ria di Bonomi sia un’importante novità. Salvini dovrebbe diventarne l’interlocut­ore politico».

Il sovranismo va ridefinito

Il Ppe sarebbe una scorciatoi­a ma non si può chiedere a Salvini un’inversione a U in pochi mesi

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Marcello Pera, 77 anni, filosofo, senatore di Forza Italia dal 1996 al 2013, è stato presidente di Palazzo Madama
Ex senatore Marcello Pera, 77 anni, filosofo, senatore di Forza Italia dal 1996 al 2013, è stato presidente di Palazzo Madama

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