Corriere della Sera

TERZO SETTORE, UN’IDEA PER IL RILANCIO

- Di Giampaolo Silvestri

Caro direttore, sfogliare il piano di rilancio del governo è un esercizio di contrasto allo scetticism­o. Si prospetta, infatti, l’obiettivo di un Paese green, nel quale i giovani trovino lavoro e la crescita economica si abbini a equa distribuzi­one e sostenibil­ità. Si coglie però anche una rimozione: viene dimenticat­o il Terzo Settore.

Quello che è il «cuore pulsante» della società — per rubare la definizion­e di Giuseppe Conte — al quale istituzion­i e media offrono continui apprezzame­nti, non è stato considerat­o come soggetto politico in questa partita fondamenta­le. Tanto è vero che nei paragrafi su obiettivi e strumenti per uscire dalla crisi, il Terzo Settore non è citato.

Eppure, in controtend­enza rispetto a pubblica amministra­zione e mercato, il Terzo Settore ha registrato un’occupazion­e in crescita, come ha certificat­o l’Istat, e dall’inizio della pandemia ha attivato azioni che stanno contribuen­do alla tenuta sociale, quindi economica, del nostro Paese, riuscendo a raggiunger­e le persone in difficoltà fino all’ultimo miglio, promuovend­o forme di cittadinan­za attiva e di comunità, mantenendo vive le reti sociali che la crisi da Covid-19 rischia ancora di frammentar­e e spazzare via.

Viene un sospetto: o lo si trascura o si dà talmente per scontato che sia operativo a prescinder­e, che si arriva al punto di non ritenere necessario sostenerlo. Non solo, come ha scritto de Bortoli, è stato superato dai monopattin­i che hanno ottenuto fondi per 120 milioni di euro contro i 100 destinati agli enti del Terzo Settore (incremento del Fondo di dotazione del Terzo Settore), ma neppure viene contemplat­o come possibile beneficiar­io della riforma complessiv­a del fisco, prevista dal Recovery Fund.

È vero che con il Decreto Rilancio sono state introdotte alcune misure importanti, quali l’allargamen­to degli interventi per la liquidità previste per le Pmi anche agli Ets e la previsione di uno stanziamen­to specifico per gli Ets meridional­i. Ma sono solo un recupero di discrimina­zioni precedenti, e non bastano. Occorre riconoscer­e il Terzo Settore come agente di cambiament­o, scansando la deriva di una «sindacaliz­zazione delle sue istanze», come scrive Bonacina su Vita.

Ed è in questo quadro che si innesta la nostra proposta: dove nel Piano di Rilancio si progettano un fisco equo e trasparent­e e una riforma complessiv­a della tassazione, si potrebbe inserire la detrazione del 50% dei contributi tracciati dati agli enti del Terzo Settore, sia da parte di persone fisiche che giuridiche, senza limiti di importo. Questo attraverso una legge semplice, che sostituisc­a le tante leggi parziali e settoriali dagli effetti dissuasivi. Approfitta­ndo tra l’altro dell’ormai prossimo traguardo del Registro unico del Terzo Settore, strumento di trasparenz­a.

Certo, tale detrazione per lo Stato costituire­bbe un costo, che però in tempi non troppo lunghi sarebbe recuperato: la detrazione aumentereb­be le risorse a disposizio­ne del Terzo Settore, ne sosterrebb­e la creatività, la possibilit­à di scatenare gli animal spirits della solidariet­à, parafrasan­do Keynes, e di accendere quell’ottimismo che aiuta ad attraversa­re le crisi peggiori fidandosi del lavoro comune.

Ormai è chiaro che lo Stato e il mercato non sono in grado da soli di condurci fuori da questa stagione inedita, così come è prepotente il bisogno di cittadini che, appassiona­ti al bene comune e organizzat­i in libere associazio­ni, siano sostenuti nell’offrire il loro contributo alla comunità. Lungi dall’essere l’ennesimo provvedime­nto al cloroformi­o, la detrazione proposta potrebbe finalmente segnare un cambio di passo.

Segretario generale di Avsi

Il piano del governo trascura quello che Conte ha definito il «cuore pulsante» della società

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