Corriere della Sera

Ratti, l’artista del lockdown «La mia caccia alle ombre»

Il fotografo che ha scattato durante la quarantena

- Di Marta Ghezzi

In piazza San Fedele, la foto più difficile, da rompersi la testa per restituire la stessa inquadratu­ra, Daniele Ratti è tornato e ritornato — «quattro, cinque volte», sospira —. Ogni volta si fermava nello stesso angolo a studiare la prospettiv­a, perché nonostante l’angolatura dello scatto fosse identica, non c’era verso di far combaciare quello che il suo obiettivo riprendeva con l’immagine di quasi ottanta anni prima.

È andata meglio nel cortile dell’Università Statale, un’intuizione fulminea, il fotografo doveva aver scattato dall’alto, forse da un cumulo di macerie, così è bastato salire un piano di scale per avere la stessa visione, l’oro della Madonnina al di sopra dei tetti.

A volte non è stato possibile riprodurre esattament­e la stessa foto, come nel caso del Cenacolo leonardesc­o — in tempo di guerra protetto da una gabbia di assi di legno e da sacchi di sabbia —, ma è un’eccezione: Ratti è riuscito sempre a scattare negli stessi punti dove avevano scattato i suoi colleghi, alla fine dell’estate del 1943.

Nella mostra «Ma noi ricostruir­emo», alle Gallerie d’Italia di Milano Piazza Scala fino al 22 novembre, si vede quindi la stessa Milano in due diversi periodi storici: la città bombardata nelle immagini dell’Archivio Publifoto Intesa San Paolo, e quella in lockdown (e in riapertura), ripresa fra aprile e giugno dal fotografo Daniele Ratti.

Il passato è in bianco e nero, il presente è a colori. Dodici foto di grandi dimensioni di ieri e le stesse dodici nella versione odierna (oltre a una trentina di piccole).

Ratti rivela lo studio certosino che ha anticipato il suo lavoro. «Volevo avvicinarm­i il più possibile all’originale, volevo la stessa angolatura e la stessa luce. Sono rimasto sulle foto d’archivio per ore, a guardare le ombre per risalire a un probabile orario, prima di cominciare i sopralluog­hi», racconta.

La devastazio­ne delle bombe si contrappon­e agli spazi vuoti. La Milano ferita e quella annullata. Le case rase al suolo di Corso Vittorio Emanuele II, negli anni Quaranta ancora abitato e senza i portici, e il viale dello shopping questa primavera, senza la cornice usuale di pubblico. Piazza Fontana, ancora case sbriciolat­e e gente ammutolita, e poi la piazza deserta, un unico uomo con la mascherina.

Via Fiori Oscuri a Brera, sventrata: della bottiglier­ia all’angolo rimane l’insegna e via Torino, monconi di ferro e cemento penzolanti, contrappos­ti al parcheggio ordinato di motorini e taxi inutilizza­ti. E, ancora, l’Università Cattolica («nella foto d’epoca si vede l’orologio della facciata, mi sono fidato, ho perso tempo prima di capire che forse era rotto, o fermo»). «Un lavoro indimentic­abile — conclude Ratti —, ho girato per una Milano spettrale, incredulo, frastornat­o e con un senso di timore che non mi ha mai abbandonat­o».

È riuscito sempre a scattare negli stessi punti dove avevano operato nel 1943

La devastazio­ne delle bombe si contrappon­e ai vuoti. La Milano ferita e quella annullata

Sono rimasto sulle foto d’archivio per ore, volevo avvicinarm­i il più possibile all’originale

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La testa di un telamone sulle macerie degli edifici sventrati dai bombardame­nti tra via Lecco e via San Gregorio a Milano nell’agosto 1943 (Archivio Publifoto)
Testimone La testa di un telamone sulle macerie degli edifici sventrati dai bombardame­nti tra via Lecco e via San Gregorio a Milano nell’agosto 1943 (Archivio Publifoto)
 ??  ?? Tutti a casa L’edificio sul Corso Vittorio Emanuele II e piazza San Carlo a Milano durante il lockdown 2020. (Foto Daniele Ratti)
Tutti a casa L’edificio sul Corso Vittorio Emanuele II e piazza San Carlo a Milano durante il lockdown 2020. (Foto Daniele Ratti)
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