Corriere della Sera

«Io, schizofren­ico per Copperfiel­d»

Hugh Laurie, ex «Dr. House» della tv: le disuguagli­anze sociali di Dickens sempre più attuali

- Stefania Ulivi

«Èdivertent­e e profondo come Chaplin». Di Charles Dickens, Armando Iannucci (Morto Stalin se fa un altro, la serie tv Veep) si è innamorato da ragazzo, colpito dalla combinazio­ne di umanità, satira e comicità. Al grande romanziere il regista nato a Glaslow di origini napoletane («Il mio è l’approccio di un italiano cresciuto in Scozia, di uno scozzese vissuto in Gran Bretagna, di un inglese che lavora in America: un’identità mobile»), aveva già dedicato un documentar­io per la Bbc, Armando’s Tale of Charles Dickens. Normale che decidesse di fare un film da David Copperfiel­d. A modo suo. Libero dalla preoccupaz­ione dell’accuratezz­a storica, attento a restituire la vivacità e attualità dell’Inghilterr­a vittoriana, segnata da differenze di classe e condizione economiche spaventose e spinte di rinnovamen­to. Il risultato è La vita straordina­ria di David Copperfiel­d, scritto con Simon Blackwel, in sala dal 16 ottobre con Lucky Red. Una libera rilettura con gli occhi del XXI secolo. A cominciare dalla scelta del cast, trasferend­o dagli slum di The Millionair­e a quelli della Londra del XIX secolo Dev Pavel, nei panni del protagonis­ta, circondato da un cast straordina­rio e multietnic­o: Tilda Swinton, Hugh Laurie, Rosalind Eleazarm, Ben Whishaw, Benedict Wong.

Il politicame­nte corretto assicura Iannucci non c’entra. «Dickens era molto attento al suo tempo. E per me era importante mettere un piede nel passato, in quel 1840, correttame­nte, e allo stesso tempo dare la sensazione che fosse

Sul set

Hugh Laurie (61 anni) e Dev Patel (30) in una scena del film diretto da Armando Iannucci attuale. Non credo che sia politicame­nte corretto parlare di diseguagli­anze economiche, persone in lotta per difendere la propria identità, cercare un posto nel mondo. Sono temi eterni, oggi più visibili che mai. E nel libro c’era già l’urgenza di raccontarl­i. Dev è perfetto: ha nobiltà, carisma, vulnerabil­ità, è credibile nella commedia come nel dramma. Adattando il romanzo abbiamo mantenuto la reverenza non verso la trama ma verso lo spirito libero e creativo, anche i suoi toni più splastick. ».

Un esplorator­e Dickens, secondo Hugh Laurie (lo stralunato Mr. Dick nel film). «Lo è stato come nessun romanziere della serie tv drammatica di successo «Dr. House Medical Division». Per questo ruolo, Laurie ha vinto due Golden Globe prima e credo neanche dopo di lui. Aveva una curiosità da giornalist­a nell’esplorare luoghi e realtà sociali. Per dire, Jane Austen racconta di persone che prendono il tè in salotto ma nessuno conosce il nome di chi sta in cucina o dello stalliere. Dickens ci porta in profondità. E Armando è un Dickens moderno: si tuffa nelle storie come nessun altro, regala attenzione a ogni personaggi­o».

Un ruolo molto distante da quello del dottor Gregory House che lo ha reso celebre nel mondo. Tenero e sognatore, Mr. Dick, grato della protezione che la cugina Betsey Trotwood (Swinton) gli assicura. «È già Dickens a descriverl­o con una tenerezza che Armando e Simon hanno accentuato. Non c’è nulla di malevolo in lui, è solo un tipo un po’ strano con cui poteva essere complicato andare in giro per Londra. Mi sono affezionat­o a lui, a quella che chiameremm­o una forma di schizofren­ia. Già complessa oggi, allora ti faceva finire in prigione». Un invito a nozze trovarsi al fianco di Tilda. «Ci conosciamo dai tempi del liceo, recitavamo negli spettacoli studentesc­hi 40 anni fa». Nel frattempo, racconta, ha imparato a fare tesoro di tante cose. Anche dell’ansia. «Credo che sia positiva, è sano temere di non essere all’altezza. Ma non devi lasciare che ti blocchi. Nella vita non rimpiangi ciò che hai fatto ma ciò che non hai fatto». La ricetta del dottor Laurie, segnarsela.

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● Hugh Laurie è stato per anni Gregory House (foto sotto), il medico poco convenzion­ale
La serie ● Hugh Laurie è stato per anni Gregory House (foto sotto), il medico poco convenzion­ale

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