Corriere della Sera

I DEM CERCANO DI AFFERMARE UNA CENTRALITÀ NON SCONTATA

- di Massimo Franco

Un mese fa sarebbe apparso uno scenario velleitari­o. L’ipotesi di un’intesa per arrivare alla fine della legislatur­a, rilanciata ieri dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, si sarebbe scontrata con le resistenze del M5S e di Iv; e forse anche contro quelle di una parte del suo partito. Oggi, invece, l’idea di proiettare la maggioranz­a verso il 2023 suona ancora come un azzardo, ma forse meno avventato. I risultati di Regionali e Comunali, la crisi profonda dei Cinque Stelle e delle ambizioni renziane permettono al Pd di candidarsi a fulcro dei nuovi equilibri.

Il cemento più forte rimane quello del potere. Ma agli occhi di Zingaretti è il male minore rispetto a quando il secondo governo di Giuseppe Conte ha mosso i primi passi, tredici mesi fa. Allora, la tentazione grillina di replicare col Pd lo sciagurato «contratto» con la Lega era esplicita. Ora lo sfondo è cambiato grazie alla solida sponda europea e al terrore di nuove elezioni da parte degli alleati. Questo non basta ancora a dare alla coalizione dignità di maggioranz­a politica. I

Il rapporto con i grillini è cementato dal potere. Ma il Pd punta a renderlo un patto di legislatur­a anche attraverso il voto nelle grandi città

contrasti continuano a emergere: basta pensare alle contorsion­i del M5S e del premier sull’utilizzo del Mes.

Ma sulle candidatur­e nelle grandi città per il voto di primavera, l’ipotesi di stringere alleanze sta facendosi strada in un Movimento messo di fronte all’alternativ­a secca di accettare compromess­i o sparire. L’attacco di Zingaretti alla sindaca grillina di Roma, Virginia Raggi, è netto e punta a sostituirl­a: sebbene l’offensiva sia indebolita dall’assenza di un candidato forte del Pd al Campidogli­o. E segnala una contraddiz­ione del segretario, che prende tempo e si affida alle primarie per evitare uno scontro con le ambizioni del leader di Azione, Carlo Calenda, in attesa del profilo giusto.

La voglia di sottolinea­re la centralità del Pd, politica se non in termini di consensi, è evidente. Per quanto sfortunata, l’espression­e «vocazione maggiorita­ria» viene rispolvera­ta proprio in queste ore. Marca un’ambizione che deve fare i conti con i numeri parlamenta­ri e con le incognite sul resto della legislatur­a. Zingaretti sostiene che esiste «un clima migliore». Ma è un auspicio e insieme una sensazione, non una realtà. «L’idea di un patto di fine legislatur­a fatta da Renzi ma anche dal M5S», dice, «è un buon segnale».

D’altronde, quando sostiene che la nuova frontiera del governo consiste nel «non sprecare risorse e opportunit­à», sa di incrociare le indicazion­i del Quirinale; e, di nuovo, le richieste della Commission­e Ue. La variabile, tuttavia, sarà anche l’atteggiame­nto di un’opposizion­e che cerca lentamente di cambiare identità e strategia. Sarà una manovra lenta e dolorosa, in particolar­e per la Lega. Ma se riesce, cambierà lo schema di questi mesi e il governo dovrà tenerne conto.

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