Corriere della Sera

Le resistenze di Pd e 5 Stelle locali all’alleanza per il dopo Appendino

Nel centrosini­stra l’idea del rettore Saracco. Ma c’è chi vuole fermarlo con le primarie

- Dal nostro inviato Marco Imarisio

Tanti cari auguri, con un bel dito medio alzato. L’inaugurazi­one del Premiato laboratori­o politico torinese comincia con un gestaccio.

È quello che consegna a Facebook la consiglier­a comunale Maura Paoli, una delle massime teoriche piemontesi del vaffa pentastell­ato, nemica acerrima della sua ormai quasi ex sindaca, considerat­a collusa con i poteri forti e troppo incline al compromess­o. Ci ha messo anche delle parole, comunque. «Chiara Appendino è stata spesso arrogante, miope e bugiarda, con chi si sarebbe tagliato un braccio per sostenerla». Detto questo, ha fatto anche cose buone. «Ma nonostante tutta la rabbia che ho nei suoi confronti, è indubbio che sia la migliore di tutti noi e che nessuno potrebbe sostituirl­a». I compliment­i postumi alla carissima nemica sono un grande classico nostrano. Daniela Albano, anche lei purissima e durissima, trasuda entusiasmo per una eventuale alleanza con il Pd. «Tra noi e loro le differenze di visione politica sono incolmabil­i. E l’idea di una alleanza per mera convenienz­a elettorale è intollerab­ile».

I Cinque Stelle torinesi hanno sempre considerat­o il Pd come l’architrave della cupola criminosa altrimenti detta sistema Torino che aveva governato la città per oltre vent’anni. È con queste parole d’ordine, da qui alle Amministra­tive del prossimo maggio varrà la pena ricordarlo, che nel 2016 Appendino espugnò l’ultimo villaggio di Asterix al di sopra del Po. La sindaca è poi scesa a più miti consigli, cambiando molte convinzion­i iniziali ma senza mai trovare la forza per liberarsi dell’ala oltranzist­a alla quale doveva in gran parte l’elezione, e questo barcamenar­si ha prodotto figuracce epocali come quella delnon

Il capogruppo dem: non si può pensare che il candidato lo scelgano i vertici grillini nazionali

Il limite

Massimo due legislatur­e per senatori, deputati e parlamenta­ri Ue

I punti

Alle Politiche 2023 nessuna coalizione Rousseau va rafforzato

le Olimpiadi invernali.

Ma anche dall’altra parte non è che ci siano tappeti rossi pronti per l’uso. Torino non ha mai amato le soluzioni imposte da Roma. E questo vale anche per il Pd, dove in molti tacciono in attesa di capire le indicazion­i del Nazareno. Ma sono gli stessi che ci tengono a far sapere come l’ultima candidatur­a torinese decisa nella Capitale fu proprio quella di Piero Fassino cinque anni fa, obbligato a ripresenta­rsi nonostante la poca voglia e i segnali inquietant­i per lui che venivano dalle periferie. E fu un trionfo. Nel ruolo del kamikaze, ecco Stefano Lorusso, aspirante sindaco, capogruppo Pd in Comune e docente del Politecnic­o, quindi collega del suo rettore Guido Saracco, da tutti indicato come probabile candidato civico che potrebbe andare bene a tutti. «Gli elettori torinesi soprattutt­o quelli del Pd, non sono fessi» sostiene Lorusso. «Se qualcuno pensa che lo schema sia quello di Luigi Di Maio e che cioè il candidato lo debbano scegliere di fatto i grillini a Roma, lo dica alla luce del sole. Lo strumento per misurare davvero la forza di questo schema non possono che essere le primarie del centrosini­stra. È li, dando la parola ai torinesi e non ai caminetti romani, che si può veramente individuar­e la candidatur­a migliore».

Lorusso non è certo un caso isolato. Gran parte del Pd torinese punta a fare fuori una candidatur­a civica facendola passare per le forche caudine delle primarie, per poi giocarsela in casa, dove al momento si contano minimo 6-7 candidati in pectore. È un ragionamen­to che si basa sul presuppost­o di un Pd ancora dominante in città, anche se la realtà e i flussi elettorali suggerisco­no il contrario. «Saracco faccia come Sala» ha ammonito il segretario cittadino Mimmo Carretta, invitando così un professore universita­rio digiuno di politica a coinvolger­e i partiti facendo opera di aggregazio­ne in solitaria. L’aria che tira è questa, non delle migliori. Sergio Chiamparin­o, che a Torino significa ancora molto, anzi parecchio, è l’unico a lavorare alla luce del sole per il rettore del Politecnic­o, che a parole andrebbe bene a tutti, ma nei fatti insomma. E se dovesse essere lui il candidato, contro un centrodest­ra che sembra unito dietro un altro civico, l’imprendito­re e presidente della Film commission Paolo Damilano, la vittoria è tutt’altro che scontata. I tempi del villaggio di Asterix sono ormai un ricordo. Si scrive Torino, ma ci vuole poco per leggere Liguria.

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No al bis Chiara Appendino, 36 anni, sindaca di Torino
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