La signora dei thriller
Noomi Rapace: drammi privati sul set come i buchi neri del mio passato
Noomi Rapace ha sempre lottato contro i suoi démoni e fantasmi, fin da Millennium è la ragazza che si fa giustizia da sola. Ha nel Dna il ruolo dell’outsider. Ma passati i 40 è meno cruda. In The Secret - Le verità nascoste di Yuval Adler (nelle sale per Vision e Cloud9), è Maya. Conduce una vita serena. Ma il passato è drammatico. Camminando per strada, le sembra di riconosce il suo carnefice, quando era prigioniera ebrea in un lager nazista, e decide di rapirlo.
Noomi, che idea si è fatta di una donna bloccata tra perdono e vendetta?
«È tra quei due sentimenti estremi come in un campo di battaglia. È scampata agli orrori della guerra che si è ricostruita una vita serena in una cittadina Usa. Mi è entrata dentro, si è impadronita della mia anima. Vuole vendetta per sé e per sua sorella, quando è più consapevole vuole capire perché è successo, una possibile riconciliazione, e poi decidere come agire».
Le somiglia?
«Sì, molto. È una outsider in un Paese a lei sconosciuto, è qualcosa che ho sperimentato diverse volte. La prima a 5 anni. Poi otto anni fa lasciai la Svezia per trasferirmi a Londra senza conoscere nessuno, ripartendo da zero. Ho familiarità con la straniera che si adatta mettendosi il passato alle spalle. Maya è piena di rabbia, ha una fragilità che copre e nasconde con una spessa esteriorità, un meccanismo di difesa che innesca rabbia ed è una cosa che ho vissuto nella mia vita».
Ma perché lei già tornò da ragazza nel suo paese?
«A 15 anni tornai in Svezia per affrontare gli scheletri nel mio armadio. Non ero felice, vivevo in una fattoria di cavalli lontana dai miei amici, ero povera e non nelle condizioni più felici, emotivamente e psicologicamente. Se fossi rimasta lì sarebbe stata una realtà distruttiva. Me ne andai a Stoccolma e cominciai a recitare a 16 anni nelle serie tv. È stato un riconnettermi con un sogno che avevo da bambina, quando in Islanda ebbi un piccolo ruolo nel mio primo film. Recitare è libertà, non c’è il concetto di giusto o sbagliato e niente è davvero cattivo. Non ha a che fare con la bellezza o la perfezione ma con la vita».
Perché dalla trilogia «Millennium-Uomini che odiano le donne» è attratta da donne costrette a difendersi?
«Me ne stavo coi maschi, praticavo judo e arti marziali, facevo a botte, bevevo. Sono attratta da chi combatte e si trova al bordo, in una situazione di transizione. È la mutazione da bozzolo a farfalla, o viceversa, è il punto di rottura che mi intriga».
La maternità...
«Sono diventata madre a 23 anni, dovevo cambiare la mia vita. Ho messo al mondo il bambino più saggio che abbia mai visto, guardandolo negli occhi ho capito che non avrei mai potuto mentirgli. Mi sono messa in riga. Volevo meritarmi il suo amore, una madre non può dare nulla per scontato, non potevo rifugiarmi nella compassione, nel dirgli, sai, la mia vita è stata dura. Mi ha cambiato ed è la cosa di cui sono più grata».
Che rapporto ha col suo passato, l’ha dimenticato…?
«Dimenticato... No. Ho buchi neri con cui ancora non ho fatto i conti».
Suo padre, cantante di flamenco di origine gitana, lo vide prima della sua morte.
«Ci sono cose che non ricordo, fratture nascoste. Ma dopo tutto mi sento in pace, mi piace vivere».
Lei ha detto che la notorietà può essere dannosa e sconveniente.
«Il mio lavoro è guardare l’umanità, vedere corpi, occhi, espressioni, e quando l’attenzione è tutta su di me…È facile farsi influenzare da false credenze che tu sei più importante degli altri, e quando lo pensi perdi contatto con la realtà. Esploro l’onestà, non voglio perderla, né che si dica è il figlio di Noomi. Sono un’attrice, non una celebrità».
Ma una commedia?
«Oh sì, lo vorrei. Amo Guadagnino e Sorrentino, avrei voluto essere al party di La grande bellezza, ballare, andare fuori di testa e celebrare la vita nel modo più pazzo».
Vivevo in una fattoria di cavalli, senza amici Andai a Stoccolma per sfuggire alla povertà