TRA I MAESTRI DELLA BELLEZZA
A Milano «Mirabilia», realizzata dalla Fondazione Cologni per i Mestieri d’Arte, che compie 25 anni. Il suo creatore spiega l’impegno verso i giovani UNA MOSTRA CELEBRA L’ALTO ARTIGIANATO «IN BOTTEGA L’ITALIA DÀ IL MEGLIO DI SÉ»
Una volta si diceva «mandare a bottega». E dentro ci stava molto più dello spazio, di solito al minimo sindacale, in cui si costruivano idee e si sperimentavano sogni. Qualcosa è cambiato. «Il mondo del lusso non è più quello di una volta», dice amaro, ma sempre costruttivo Franco Cologni. L’uomo che con la sua Fondazione si batte per rendere eccellenza educazione e formazione. Così nasce e cresce il progetto dei Mestieri d’Arte. «Ha un grande valore culturale ripartire dalla Triennale, che nacque cento anni fa proprio come casa dei mestieri», racconta. Da martedì, fino a gennaio prossimo, «Mirabilia» aprirà al pubblico negli spazi della Quadreria: prima tappa con un focus molto stretto sulla realtà milanese di un lungo viaggio composto da cinque mostre dedicate ai mestieri d’arte. «Nel 1995 lavoravo ancora e tanto per Cartier e per il gruppo Richemont. E mi resi conto che il mondo della bellezza, dell’alta manifattura era profondamente basato sul talento dei grandi artigiani, ma con poca visibilità. L’artigianato d’arte era un settore che le istituzioni leggevano con fatica, che la letteratura non celebrava adeguatamente, mentre in realtà è una capacità molto italiana di trasformare creativamente la materia. Il vero vantaggio competitivo che sostiene il Made in Italy», spiega
Franco Cologni.
Un’iniziativa che però sarà più ampia, biennale, per la prima volta in Italia, ribattezzata MAM (Maestro d’Arte e Mestiere), creata per valorizzare e portare all’attenzione del grande pubblico la straordinaria opera di alcuni dei più significativi protagonisti del nostro alto artigianato suddivisi in 23 diverse categorie: dalla ceramica alla gioielleria al legno e arredo, dai metalli alla meccanica al mosaico, dalla pelletteria al restauro. Niente di più antico che si fa così tanto moderno.
Certo il mondo del lusso si evolve. I maligni lo vedono perdersi tra le banconote dell’effimero: «Quello che concepiamo noi, non è il lusso quotato in borsa, ma la celebrazione di quella cosa che ti compri e conservi per sempre: un bene culturale a tutti gli effetti. La qualità è anche rarità, la genialità di creare qualcosa di diverso da quello che altri hanno già pensato e realizzato», continua Cologni.
La Fondazione festeggia così i suoi primi 25 anni. «Che non è una vita, ma è comunque una generazione. Abbastanza per costruire e raccontare una grande fase di cambiamento, diventando ambasciatori di quell’antico concetto di bottega, che oggi si fa atelier, perché si può e si deve sperimentare ancora di più di una volta. L’Italia compete quando dà il meglio di sé. Coi nostri progetti vogliamo portare le persone a cambiare il modo in cui vivono i mestieri d’arte, aiutandoli a integrarli alla loro vita — aggiunge Alberto Cavalli, direttore generale della Fondazione, che ha curato la mostra —. Una cosa è bella anche perché è significativa. Bisogna valorizzare il senso dell’artigianato, che è un
Un’altra idea di lusso
Un omaggio agli oggetti che compri e conservi per sempre: beni culturali a tutti gli effetti
concetto più che mai attuale, perché è legato al territorio. «Invitiamo le istituzioni a considerare davvero i nostri MAM come beni culturali etno-antropologici», aggiunge Cavalli.
Per l’edizione 2020 la cerimonia di consegna dei riconoscimenti sarà costretta alla distanza del digitale, in video sul sito www.maestrodartemestiere.it. Ma questo viaggio sarà lungo e arriveranno tempi migliori. Anche perché la Fondazione guarda dritto al futuro, investendoci con un progetto anche questa volta dedicato ai giovani, che poi sono i maestri (d’arte) del futuro. Con il progetto chiamato «Una Scuola, un Lavoro. Percorsi di Eccellenza».
Ogni anno, alcune decine di ragazzi diplomati nelle più prestigiose scuole, avranno la possibilità di trascorrere sei mesi di tirocinio formativo da un maestro artigiano. Andranno a bottega, come si diceva una volta. E il cerchio si chiude.