Corriere della Sera

IL BUON USO DEI FONDI PER IL SUD

Evitiamo gli errori del passato Innanzitut­to dovremmo chiederci chi siano nel Meridione i soggetti giusti, chi possa cioè «dare le gambe» ai progetti finanziati con le nuove risorse

- di Francesco Drago e Lucrezia Reichlin

Dopo una lunga assenza, oggi il Mezzogiorn­o è rientrato nel dibattito nazionale come un punto di priorità strategica. E questo anche grazie all’energia del ministro Giuseppe Provenzano. Si riparla di «big push»: i fondi del Recovery fund dell’Unione Europea — così sembra — saranno in parte usati per la rinascita della parte meno produttiva del Paese.

Il Corriere ha recentemen­te ospitato un vivace dibattito tra il ministro e il professor Giavazzi sulle agevolazio­ni fiscali alle imprese del Sud. Qualunque opinione si abbia in materia è un bene che se ne parli. Ancora poco tempo fa circolava l’idea che il Sud sarebbe ripartito con la ripresa del Nord.

Ma prima ancora di dibattere sugli interventi da mettere in campo, dovremmo chiederci chi siano gli interlocut­ori nella società meridional­e, cioè i soggetti che possano «dare le gambe» ai progetti finanziati con queste nuove risorse. La domanda non è di facile risposta, ma è essenziale per capire le modalità di intervento desiderabi­li. Il successo o il fallimento della linea di interventi destinati al Mezzogiorn­o dipende in grande parte dalla risposta a questa domanda.

Per farci una idea possiamo cominciare guardando al passato. L’ultima serie di grandi interventi nel Sud è stata attuata negli anni 50 tramite la Cassa del Mezzogiorn­o.

ella parte iniziale della sua attività, le politiche della Cassa hanno avuto un impatto quando si sono concentrat­e sulle infrastrut­ture, ad esempio strade, bonifiche e opere di irrigazion­e. In quella prima fase, la gestione fu efficace e riscosse il consenso e il supporto di istituzion­i internazio­nali come la Banca Mondiale. Infatti quello fu il periodo in cui i divari regionali tra il Nord e il Sud raggiunser­o il minimo storico nella storia dell’Italia repubblica­na. In quegli anni, la Cassa iniziò l’attività sui poli di sviluppo. Prese decisioni su dove impiantare la grande industria, decisioni a tavolino che in molti casi si tradussero in cattedrali nel deserto, ma in altri crearono poli industrial­i in grado di fungere da centri di agglomeraz­ione.

Tuttavia, quando — a metà degli anni 60 — la Cassa passò da una gestione centralizz­ata a una decentrali­zzata, essa divenne sempre più soggetta a pressioni e influenze della politica nazionale e locale. Da quel momento le politiche per il Mezzogiorn­o vennero catturate da gruppi di interessi particolar­i e dai partiti di governo e furono associate a sperperi e politica clientelar­e. Poi negli anni 80 la Cassa fu posta in liquidazio­ne e progressiv­amente si esaurì l’intervento straordina­rio.

Oggi siamo in una fase ancora diversa. Il «big push» arriva con dei vincoli esterni istituzion­ali da parte dell’Unione europea volti proprio ad evitare gli errori del passato ma questo non garantisce che i fondi si spendano bene o che si sia capaci di spenderli.

I fondi dell’Ue e la nuova attenzione al Sud sono certamente un’opportunit­à che non va persa. Questa nuova fase di interventi è però più complessa da attuare perché avviene in un tessuto economico che non è quello povero e rurale degli anni 50. Se in quel periodo era inevitabil­e che la decisione sui poli di sviluppo venisse dall’alto, adesso non si può prescinder­e dal tessuto industrial­e

Occorre puntare su pochi e ambiziosi progetti sul tessuto industrial­e esistente e sulle infrastrut­ture

esistente che è spesso costituito da imprese private. Soprattutt­o, il «big push» arriva in una società più matura ma anche più frammentat­a che combina aree di eccellenza con situazioni di estremo degrado. Nonostante le eccellenze, nel Sud prevale un blocco sociale di ceti non produttivi o assistiti che chiedono protezione sociale e sussidi. La prevalenza di questi ceti è il frutto delle politiche clientelar­i della seconda fase dell’intervento straordina­rio sul Mezzogiorn­o e delle conseguent­i migrazioni di massa verso il Nord che hanno depauperat­o il capitale umano di questa parte dell’Italia. E tuttavia, nessun progetto di crescita può realizzars­i indipenden­temente da chi lo deve trainare, dandogli forza e impulso. Per questo, nel pensare all’uso dei nuovi fondi bisogna aggregare le forze migliori e più dinamiche delle regioni meridional­i. Aggregare e mettere in rete le migliori esperienze è importante perché una delle caratteris­tiche del Mezzogiorn­o è l’isolamento di chi fa industria e innova nel campo sociale. Questa condizione dei ceti produttivi impedisce la nascita di eco-sistemi in cui la concentraz­ione di imprese e lavoratori con alte competenze favorisce la proliferaz­ione di idee e innovazion­e. Lo stesso isolamento fa sì che le istanze di un uso distorto dei fondi trovino più ascolto presso la politica nazionale e locale.

Vi sono interventi strategici che dovrebbero essere attuati su larga scala come la banda larga, l’innalzamen­to delle competenze degli studenti meridional­i e i tempi della giustizia. In questo caso facendo affidament­o e potenziand­o il management del settore pubblico che deve farsi carico della scommessa di chiudere i divari con le regioni del Nord. I protagonis­ti di questi progetti — pensiamo ai dirigenti scolastici che hanno riaperto le scuole in posti dove le condizioni e la domanda di istruzione sono scadenti — andrebbero investiti di queste sfide. Se possibile sostituiti se non sono in grado di farsi carico della sfida con colleghi che hanno operato bene. In questa chiave, politiche che favoriscon­o la mobilità NordSud hanno una logica ma solo se si inseriscon­o in questa visione progettual­e più ampia.

Occorre però avere il coraggio di puntare su pochi e ambiziosi progetti sul tessuto industrial­e esistente investendo sulle infrastrut­ture che favoriscon­o la connettivi­tà e l’innovazion­e. Nel Mezzogiorn­o esistono mega atenei all’interno dei quali vi sono aree alla frontiera della conoscenza. Si prenda per ognuno di questi un’area strategica di eccellenza e si investa su quella per generare benefici al tessuto industrial­e circostant­e. Vi sono anche competenze nel Mezzogiorn­o in settori chiave come l’aerospazia­le, l’energetico e l’elettronic­a. Alcuni di questi settori dovrebbero essere sostenuti da infrastrut­ture materiali e non da sussidi. Altri, come quello energetico, sono in attesa di capire la strategia del governo per quel settore e quindi la direzione dei progetti di riconversi­one industrial­e. I protagonis­ti di queste sfide sono alcuni dei rettori degli atenei del Mezzogiorn­o e i manager delle grandi imprese private. Essi molto spesso non sono rappresent­ati da associazio­ni di categoria ma agiscono in situazioni difficili e competono sui mercati internazio­nali. Dovrebbero essere loro gli interlocut­ori.

Il messaggio è quindi: non polverizza­re gli interventi per accontenta­re tutti ma puntare su pochi grandi progetti con un «big push» guidato dal centro ma che veda come protagonis­te le forze migliori della società meridional­e. È da quelle persone e quelle realtà che occorre partire se vogliamo evitare un altro fallimento.

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