Corriere della Sera

I ricchi del mondo ora sono più ricchi

BEZOS È SALITO A 200 MILIARDI, MUSK DI TESLA HA TRIPLICATO IL PATRIMONIO. DISUGUAGLI­ANZE: 2.153 MILIARDARI HANNO PIÙ RISORSE DI 4,6 MILIARDI DI PERSONE. E PAGANO POCHISSIME TASSE

- Di Milena Gabanelli e Fabrizio Massaro

Con il Covid i ricchi del mondo sono diventati ancora più ricchi. Negli Stati Uniti, da marzo a settembre il conto in banca di 643 persone è cresciuto di 845 miliardi di dollari. Intanto 50 milioni di lavoratori hanno perso il lavoro e 14 milioni sono ancora disoccupat­i.

Se c’è una cosa che il Covid-19 non ha fermato, è la crescita della ricchezza dei miliardari. Solo negli Stati Uniti, da marzo a settembre il conto in banca di 643 persone è cresciuto di 845 miliardi di dollari. Contempora­neamente 50 milioni di lavoratori perdevano il lavoro (14 milioni sono ancora disoccupat­i). È una crescita che non si ferma.

Il patrimonio personale di Jeff Bezos venerdì 16 ottobre è arrivato a 192 miliardi di dollari, (+69,9% da marzo), Elon Musk a 91,9 miliardi (+273,8%), Mark Zuckerberg a 97,9 miliardi, (+78,6%), solo per citare i più famosi. Il lockdown è stata una benedizion­e anche per il fondatore e ceo di Zoom, Eric Yuan, passato da 5,5 a 24,7 miliardi di dollari (+349%), grazie alle videoconfe­renze cui siamo stati obbligati a ricorrere. È apparso in classifica il creatore del videogioco Fortnite,

Tim Sweeny, che oggi possiede 5,3 miliardi di dollari.

Anche la peste suina crea ricchezza

Dopo gli Stati Uniti, al secondo posto c’è la Cina con 456 miliardari in elenco. Ad aprile il maggior incremento di ricchezza se l’era aggiudicat­o Qin Yinglin, l’allevatore di maiali più grande del mondo: è passato dai 4,3 miliardi di dollari del 2019 ai 23,4 miliardi attuali perché un’altra epidemia — la peste suina — ha fatto schizzare alle stelle il prezzo della carne.

Poi il Covid ha modificato la classifica. In testa non c’è più Jack Ma: il creatore del colosso dell’e-commerce Alibaba, a quota 53 miliardi, è sceso al terzo posto. È stato superato da Ma Huateng, presidente e ceo di Tencent, super holding che controlla fra l’altro WeChat: a marzo possedeva 38 miliardi, oggi ha superato i 61,6 miliardi.

Al secondo posto è schizzato Zheng Shanshan: da 1,9 a 55,9 miliardi di dollari in sei mesi grazie alla quotazione in Borsa di due suoi gruppi, le acque minerali Nongfu Spring e la Wantai Biological Pharmacy.

I miliardari italiani

In Italia Forbes ne segnala 40 (erano 36 ad aprile). Al primo posto Giovanni Ferrero con 26,5 miliardi di dollari, seguito da Leonardo Del Vecchio con 20,8, la famiglia Aleotti (Menarini Industrie Farmaceuti­che) con 10,2 miliardi (1 miliardo di evasione scudati), Giorgio Armani passato dai 5,4 di inizio aprile agli 8,5 di oggi, Stefano Pessina con 8 miliardi, Silvio Berlusconi con 6,4 miliardi, e Gustavo Denegri (5,9 miliardi), primo azionista del gruppo di biotech Diasorin.

Il capitalism­o di relazione

Ma da dove arriva questa ricchezza, che si concentra sempre di più in poche mani? La gran parte non per meriti propri. Da un terzo al 60% dei super-ricchi (a seconda di come viene classifica­ta l’origine delle fortune) ha ereditato i miliardi che possiede, a cominciare dalla new entry Mackenzie Scott con 62

miliardi di dollari: la sua fortuna è quella di essere stata la moglie di Bezos.

Otto delle prime dieci donne più ricche al mondo sono in classifica grazie al padre o al marito miliardari­o. Almeno un altro terzo è composto da protagonis­ti del capitalism­o di relazione, ovvero fanno affari grazie all’appoggio dei governi con leggi a favore, occhi chiusi della autorità antitrust, lobbying sui parlamenti.

Per esempio il messicano Carlos Slim (53,1 miliardi di dollari) è l’uomo dei telefoni in Messico. In Russia i primi dieci miliardari si occupano tutti di materie prime e idrocarbur­i: Vladimir Potanin (22,9 miliardi) possiede la maggioranz­a di Nornickel (palladio e nichel); Vladimin Lisin (22,6 miliardi) è il re dell’acciaio. Leonid Mikhelson (20,7 miliardi), produttore di gas naturale, Roman Abramovich, (12,6 miliardi) grazie soprattutt­o a carbone, nichel e palladio. Il filippino Enrique Razon Jr. (4,8 miliardi) è la terza generazion­e della dinastia che controlla i porti

nel Paese asiatico.

Il malese Robert Kuok, 11,1 miliardi di dollari, ha fatto fortuna con l’olio di palma. Le coltivazio­ni comportano l’abbattimen­to di intere foreste pluviali contribuen­do pesantemen­te ai mutamenti climatici; l’olio utilizzato come combustibi­le fossile è inquinante, mentre il palmisto, impiegato nell’industria alimentare, è tra i più pericolosi grassi saturi. Ben 21 miliardari sono nel business dei casinò.

Poche tasse e dipendenti co.co.co

Quando hai tanti soldi, puoi anche permettert­i i migliori esperti fiscali per creare trust, scatole cinesi, veicoli offshore per spostare la residenza fiscale dove è più convenient­e.

Lo fanno la maggior parte delle multinazio­nali. Secondo una recente analisi di Mediobanca i giganti del web hanno versato 46 miliardi di dollari di tasse in meno, solo negli ultimi 5 anni. Fra loro, Microsoft è quella che ha pagato meno in tasse: appena il 10% sugli utili nel 2019. Inoltre circa l’80% della loro liquidità (638 miliardi a fine 2019) è tenuta in paradisi fiscali per sottrarla al Fisco dei paesi di provenienz­a. I soldi si fanno anche risparmian­do sul lavoro, applicando contratti indegni ai dipendenti che stanno in fondo alla filiera, o ricorrendo a subfornito­ri che a loro volta usano lavoratori sottopagat­i.

Noti marchi del lusso italiani hanno obbligato sotto Covid i loro artigiani ad applicare uno sconto del 2% sugli ordini già concordati. Bezos, che è l’uomo più ricco del pianeta e ceo di Amazon, paga in Italia un co.co.co sì e no 700 euro al mese.

Le disuguagli­anze si impennano

Secondo la ong Oxfam 2.153 persone detengono il 60% della ricchezza globale, ovvero hanno più soldi di quanti ne possiedono tutti insieme 4, 6 miliardi di abitanti della Terra. Come contrastar­e questa ricchezza che si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre il livello di disuguagli­anza continua ad allargarsi?

Le proposte di economisti e politici vanno dall’eliminazio­ne delle protezioni legali agli oligopolis­ti per aumentare la concorrenz­a ad alzare le tasse di succession­e per i grandi patrimoni, ma si fermano sui tavoli dei convegni. Negli Usa, dove tra il 1980 e il 2018 le tasse pagate dai miliardari sono diminuite del 79%, c’è chi propone di tassare le fondazioni nelle quali i mega-miliardari conferisco­no le loro ricchezze, con il solo obbligo di donare appena il 5% l’anno del loro patrimonio.

Scegliendo come e dove intervenir­e, le fondazioni filantropi­che di fatto privatizza­no le politiche di welfare. Il miliardo che arriva al bilancio dell’Oms dalla Gates Foundation e Gavi Alliance, consente di fatto a Bill Gates, in qualità di maggior contribuen­te, di orientarne le decisioni di politica sanitaria globale. Oggi Gates chiede agli Stati di aumentare la tassazione agli straricchi, ma non dice una parola contro il turismo fiscale di colossi come Microsoft, grazie al quale ha fatto i miliardi.

Quanto togliere per creare posti di lavoro

La sinistra americana nelle elezioni in corso ha proposto con Bernie Sanders un’imposta del 60% sui guadagni realizzati dai miliardari durante la pandemia per sostenere le spese sanitarie. Alcuni paperoni sono pure d’accordo, a cominciare dal finanziere Warren Buffett, 80,2 miliardi di dollari, quarto uomo più ricco al mondo.

Ma oggi il candidato è un altro, Joe Biden. E dall’altra parte c’è Donald Trump, posto 1.092 nella classifica mondiale con 2,5 miliardi di dollari. Per 15 anni ha pagato zero dollari di tasse, grazie ai suoi consulenti fiscali. Da aprile a settembre, mentre in America il Covid fermava il Paese, la sua ricchezza è cresciuta del 20%. Secondo il calcolo di Oxfam un aumento dello 0,5% della tassazione a carico dell’1% più ricco del mondo, consentire­bbe in dieci anni di pagare 117 milioni di posti di lavoro nella scuola e nell’assistenza e cura di anziani e malati. Maggior peso fiscale sui ricchi, inoltre, toglierebb­e un po’ di peso dalle tasse sul lavoro.

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