Così il premier evita il coprifuoco L’ira dei Comuni: scaricate su di noi
Tensioni nel governo, il Pd contro gli eccessi di prudenza Franceschini: se vanno pagati i ristoratori, facciamolo
Può sembrare incredibile che un Paese che registra undicimila nuovi contagi possa restare «appeso» al destino di palestre e piscine. Eppure è anche questa la ragione che ha fatto slittare la conferenza stampa del premier e impegnato in un giorno cruciale ministri, presidenti delle Regioni e anche il Cts.
Gli scienziati si sono divisi come mai era avvenuto in questa nuova fase dell’emergenza. E la stessa frattura, integralisti contro prudenti, ha spaccato la maggioranza e trasformato in una battaglia di commi e cavilli la stesura dell’undicesimo Dpcm per contenere il virus: 12 articoli, che induriscono le norme su ristoranti e bar, ma non contengono quella «stretta» che i ministri più in allarme per la corsa del virus avevano auspicato.
«Situazione critica», ha ammesso il premier. Eppure restano aperte le sale per gioco e scommesse, non c’è una norma specifica per alleggerire il trasporto pubblico ed è saltato l’obbligo di smart working al 75% per la pubblica amministrazione. E il coprifuoco? Nel governo invitano a chiamarlo con altri nomi e i sindaci rispediscono la patata incandescente all’indirizzo di Palazzo Chigi. «Il governo — tuona Antonio Decaro a nome dei primi cittadini — inserisce in un dpcm una norma che sembra avere il solo obiettivo di scaricare sulle spalle dei sindaci la responsabilità del coprifuoco agli occhi dell’opinione pubblica». Un altro fronte di scontro istituzionale, dopo quello tra governo e Regioni.
Alla riunione con i ministri, i governatori si sono presentati compatti e bellicosi, con il presidente Stefano Bonaccini determinato a incassare l’ingresso a scuola alle 11 e la didattica a distanza per le ultime classi dei licei, così da mettere fine all’assalto dei bus nelle ore di punta. Ma Lucia Azzolina si è metaforicamente incatenata ai cancelli della scuola, tanto che Decaro e Bonaccini, raccontano, «volevano far saltare il tavolo». Ci è voluta la mediazione paziente del ministro Francesco Boccia e poi del premier per arrivare a un compromesso che ha fatto esultare la ministra dell’Istruzione: «È passata la nostra linea. Saranno i presidi a decidere se implementare la didattica a distanza e scaglionare gli ingressi, ma dalle 9 e non dalle 11».
Conte proprio non voleva farlo, questo decreto. La sua linea era attendere che le mascherine obbligatorie all’aperto e le altre restrizioni piegassero almeno un poco la curva. Ma il pressing degli scienziati e dell’ala dura della maggioranza, che invocava misure drastiche «per non dover richiudere tutto fra due settimane», lo ha convinto ad accelerare. La distanza tra due opposte scuole di pensiero lo ha però costretto a una estenuante mediazione. Con i governatori e con i suoi ministri, intenti ciascuno a tirare la bozza dalla propria parte, chi per la difesa dell’economia e chi per la supremazia della salute.
Dario Franceschini, che guida la delegazione del Pd e ha spronato il premier ad accelerare, si è battuto nei vertici a porte chiuse per contrastare gli eccessi di prudenza, anche dello stesso Conte. «È vero che abbiamo rafforzato gli ospedali e aumentato il numero di tamponi — ha insistito il ministro —. Ma io voglio mettere in sicurezza il Paese e se c’è da pagare per ristorare esercenti e imprenditori, paghiamo». Ancora più spinto sulla linea «chiudere tutto tranne scuole e imprese» è il ministro della Salute, Roberto Speranza. Ma l’idea di andare rapidamente verso un «reset» non è passata, un po’ per l’opposizione tenace delle Regioni e un po’ per la convinzione di Conte che bisogna «tutelare la salute, ma anche l’economia». Il rischio adesso è scritto nei numeri dei malati ed è che il governo, per rincorrere il Covid-19, si veda costretto ad aggiustare in corsa la strategia, a colpi di dpcm. «Serviranno presto misure più dure — sospira esausto un ministro —. Conte ci vuole arrivare per step, in sintonia col Paese. E le Regioni si stanno preparando».
L’ultima battaglia
Su piscine e palestre l’ultimo scontro: divisa la maggioranza e lo stesso Cts