Corriere della Sera

«Abbiamo intubato 5 pazienti da Milano Ieri ho telefonato io a tutti i familiari»

- Enrico Galletti

«Il weekend? È stato diverso. Abbiamo intubato cinque persone in arrivo da Milano: tutte insieme. Non succedeva dai tempi più acuti dell’emergenza: lì i pazienti arrivavano a 22. A maggio avevamo festeggiat­o la sala di rianimazio­ne vuota». Carla Maestrini parla dal settimo piano dell’Ospedale Maggiore di Cremona, uno dei fronti più caldi della prima ondata. Terapia intensiva. Nei ricordi ha ancora quella foto che la ritrae piegata nei corridoi del pronto soccorso: un «clic» scattato da un collega che ha fatto il giro del mondo. Era finito un turno da quattordic­i ore e un’infermiera, nel tirare il fiato, era scoppiata in lacrime.

Racconta: «Il timore di tornare a quei giorni c’è. È tornata la paura di portare la malattia a casa, sono tornate quelle docce a fine turno che ti danno l’illusione di toglierti di dosso il virus. Non siamo ripiombati nella situazione di marzo, però qualcosa è cambiato. Chiedetelo a mia figlia: mi vede poco rilassata, nella mente ha ancora i ricordi di quelle cene dopo turni che duravano intere giornate. Si stava zitti, poca voglia di parlare. E poi sono tornati alcuni riti di quei giorni». Ad esempio? «I parenti. Anche se gli intubati al momento sono cinque, sappiamo che a casa ci sono madri, padri e figli che aspettano notizie da noi. E allora sa che cosa ho fatto ieri? Ho preso il telefono e li ho chiamati tutti. Alcuni non sapevano neanche che l’ambulanza che ha caricato i loro cari a Milano alla fine li ha portati a Cremona. Mi è parso un gesto umano, almeno sanno dove chiamare per avere notizie».

A Cremona, in piena estate, un infermiere aveva pubblicato il suo sfogo su Facebook: «L’emergenza non è finita, vi prego: ora che siete al mare, indossate le mascherine». «È stato massacrato — racconta Carla —. Per giorni ho ricevuto messaggi e chiamate di persone che ci accusavano di essere terroristi. Noi che abbiamo vissuto per settimane in ospedale sapevamo che l’emergenza non era finita, ma in troppi non hanno compreso la gravità del virus e hanno esultato troppo presto. La nostra voce, del resto, non contava più: da eroi, come in quella foto, siamo diventati terroristi. Noi però siamo sempre stati qui. Lo siamo anche ora, in corsia, con l’organico potenziato e pronti a tutto: ora ho finito il turno, e domani? Domani è un altro giorno. Abbiamo ricomincia­to a dirlo».

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Carla Maestrini fotografat­a durante l’emergenza all’Ospedale Maggiore di Cremona dal collega Paolo Miranda
Accasciata Carla Maestrini fotografat­a durante l’emergenza all’Ospedale Maggiore di Cremona dal collega Paolo Miranda

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