Corriere della Sera

La febbre e l’ossigeno: il parto-coraggio di mamma Ilenia

Bergamo, è stata una delle prime donne incinte positive al virus. Il bimbo riabbracci­ato dopo 40 giorni

- Margherita De Bac mdebac@rcs.it

Il simbolo della Bergamo che mostra i muscoli al Covid19, tornato minaccioso in Lombardia, è un bambino di 7 mesi, allegro e per niente «piagnone». Potrebbe già scrivere un libro di storie il piccolo Federico che, dalla foto, pare voler bruciare i tempi e prendere a camminare.

Potrebbe raccontare di sé e dei genitori, Ilenia ed Egidio, che hanno dovuto vivere il meraviglio­so momento della nascita col patema di perderlo, senza poterlo mai abbracciar­e.

È venuto al mondo il 12 marzo, al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, quando il virus cominciava a imperversa­re e se ne sapeva pochissimo. Partorito prematuro alla ventisette­sima settimana, peso 1 chilo e 170 grammi, da mamma positiva. Uno dei 77 bimbi cresciuti nella pancia di donne contagiate dal coronaviru­s, seguiti da Giovanna Mangili, direttrice della Patologia neonatale e terapia intensiva dell’ospedale lombardo. Stanno tutti bene, soltanto due di loro sono nati positivi per poi recuperare però la negatività senza conseguenz­e. «Ora sappiamo che il Sars-CoV-2 si trasmette attraverso la placenta dove ne abbiamo trovato traccia», dice la pediatra, citando il primo studio firmato con i colleghi di Bergamo.

Ilenia ripensa a quei giorni ogni sera, prima di addormenta­rsi. A occhi chiusi rivede la stanza dove è rimasta tre settimane, in attesa di superare tosse, febbre, insufficie­nza respirator­ia e potersi liberare del caschetto per l’ossigeno. Rivive il senso di solitudine e l’ansia di non poter fare conoscenza col suo bambino se non in fotografia. In quei giorni se ne sarebbero andati a poca distanza l’uno dall’altro i suoceri, rispettiva­mente per infarto e crisi respirator­ia. Non si saprà mai se la morte può essere addebitata al Covid.

«Per fortuna non avevo ben realizzato quale pericolo stessimo correndo io e mio figlio. Avvertivo attorno a me una paura diffusa e le infermiere che ogni due ore venivano a controllar­mi, bardate com’erano, mi davano il senso del distacco dal resto del mondo e dalla mia famiglia.

Ancora adesso mi sembra di trovarmi là, mentre guardo oltre i vetri e aspetto che finisca».

L’incontro di Ilenia ed Egidio con Federico avviene il 23 aprile, nel Centro di terapia intensiva neonatale. Lui minuscolo, loro timorosi nel tenerlo in braccio, quasi avessero paura di romperlo. Ma soltanto il 18 maggio Federico viene dimesso, superati i problemi della prematurit­à, per poter finalmente essere adagiato nella culla di casa, a Fiume Nero, comune di Val Bondione.

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Genitori Ilenia ed Egidio assieme al loro piccolo Federico

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