«Elaborare» il dramma della malattia ma con ironia
Libera variazione nel solco dell’autofiction, Cosa sarà di Francesco Bruni, che ha chiuso la Festa di Roma e subito dopo arrivato nelle sale, rielabora la dolorosa esperienza del regista che ha scoperto, nel marzo 2017, di avere una mielodisplasia, curata nel febbraio 2018 con un trapianto di midollo del fratello. Ci si potrebbe chiedere perché il regista abbia sentito il bisogno di «elaborare» col cinema quella drammatica esperienza e in maniera così diretta e cronachistica (solo per fare un esempio, Coppola aveva affrontato la morte del figlio in maniera molto più mediata attraverso I giardini di pietra) ma probabilmente c’entra anche una qualche forma di sollievo per l’esito finale raggiunto e quindi la voglia di sorridere su un tema così serio. Perché pur seguendo più o meno una traccia autobiografica – con lo shock della rivelazione, l’alternarsi di speranza e delusioni, la ricerca del possibile donatore – il film evita il compatimento e si inventa colpi di scena e personaggi che si capisce frutto della fantasia del regista-sceneggiatore. Così intorno a un Bruno Salvati interpretato con bella misura da Kim Rossi Stuart, conquistano la simpatia dello spettatore il produttore riluttante (Ninni Bruschetta), la moglie remissiva (Lorenza Indovina), il padre invadente (Giuseppe Pambieri) fino alla sorella ritrovata (Barbara Ronchi) al centro di una delle invenzioni più sorprendenti del film. Il soggetto diluisce nell’ironia le note cechoviane delle precedenti regie di Bruni e trova nella concreta dottoressa Bonetti (Raffaella Lebboroni) il vero punto di equilibrio di un film «simpaticamente malinconico», dove le esigenze del reale (e della malattia) trovano soluzioni nel sorriso e nell’invenzione.