Il comandante eroe della Diamond Princess «Non c’è stato il tempo per avere paura»
Ha avuto paura?
«Non ce n’è stato il tempo. Ci siamo trovati davanti a un gigantesco punto interrogativo: quanto è grave? Come comportarci? Non sapevamo ancora nulla del virus».
Gennaro Arma, 45 anni, nato a Meta di Sorrento. Il mondo ormai lo conosce come «the brave captain», «il capitano coraggioso» perché così è stato salutato il primo marzo scorso, quando scese per ultimo dalla Diamond Princess, la nave da crociera che comanda dal 2018. Lo sbarco era stato appena completato: quel che restava degli iniziali 3.711 tra passeggeri e membri dell’equipaggio. La nave era rimasta in quarantena al largo di Yokohama, in Giappone, per quasi un mese: alla fine si conteranno 705 persone risultate positive a Sars-CoV-2 a bordo e trasferite di volta in volta nelle strutture idonee. A capo di questa città galleggiante c’era Arma, che ha affidato il diario di quei giorni a un libro, «La lezione più importante» (Mondadori).
Il primo febbraio lei riceve la notizia che un passeggero sbarcato dalla nave a Hong Kong è positivo al test.
«Sì, nella stessa città nella quale, quattro anni prima, avevo appreso della morte di mio padre. Coincidenze che mi misero subito in allarme».
Il 4 febbraio, quando la nave fu messa all’àncora, il Covid-19 era ancora una grande nebulosa?
«Era questo il problema. Non c’era un protocollo preciso, tutto venne deciso seguendo la prudenza. Quando ci hanno messo in quarantena mi sono ritrovato a capo di un’isola con una potenziale infezione in corso».
Qualcuno ha detto che sarebbe stato opportuno andare in banchina e far sbarcare i passeggeri.
«Chi dice questo ignora che in casi del genere la responsabilità di sbarchi e imbarchi è interamente presa in carico dalle autorità del posto».
Peraltro in quei primi giorni non erano nemmeno obbligatorie le mascherine.
«No, nemmeno l’Oms le consigliava, le portava il personale sanitario. Poi ce le procurammo. Facemmo sbarcare i primi positivi e chiedemmo a tutti gli altri di non lasciare la propria cabina. E poi, un salto nel vuoto. Imparare un piano strategico in fretta. Per esempio portare tre volte al giorno i pasti in 1.500 cabine. Non l’avevamo mai fatto. Procurare le mascherine o i farmaci a chi ne aveva bisogno. Organizzare il rifornimento di cibo. L’aria».
L’aria?
Il carburante.
«In molte cabine non arrivava la luce naturale. Potevamo lasciarli al chiuso e al buio per settimane? Ci siamo inventati il programma “fresh air”, cioè un tempo minimo consentito a tutti di passeggiare sul ponte, con un piano antiassembramento».
Le persone, appunto. «Come la coppia sposata da cinquant’anni, che ha sempre vissuto insieme e che finalmente si concede una crociera. All’improvviso il virus li separa, lui in un letto d’ospedale, lei costretta ad aspettare nella sua cabina».
Lei si trovava a guidare un vascello in acque difficili. Molti sindaci e governatori, usando una metafora, si trovano oggi in quelle condizioni.
In molte cabine non arrivava la luce naturale. Abbiamo dato a tutti del tempo per passeggiare sul ponte in sicurezza
«Bisogna applicare le misure, è fondamentale non far prevalere il panico: la cosa più difficile. Ma il carisma non è solo dare ordini o farsi ubbidire. È molto di più. È mettersi seriamente in gioco per gli altri e far sentire che ci sei davvero».
Il carisma non è solo dare ordini o farsi ubbidire. È di più. È mettersi seriamente in gioco per gli altri, far sentire che ci sei
Che cosa l’ha sostenuta?
«Due cose in particolare: la straordinaria collaborazione di tutti i passeggeri e l’alleanza che siamo riusciti a saldare tra personale a bordo, vertici della compagnia e autorità giapponesi. Non sono cose scontate. Guardi oggi in quanti minimizzano o negano il virus. Mi vengono i brividi. Allora sarebbe stato più facile “ribellarsi” alle misure visto che la gravità della malattia non era chiara. Nessuno lo fece. Per fortuna. Sarebbe potuta andare molto peggio».
Comandante, l’hanno chiamata «eroe». Si sente tale?
«Mi fa sorridere. Ho solo fatto il mio lavoro».