Huawei, la cessione di Honor I rivenditori salvano il marchio
Il colosso cinese cede la linea low cost. Le difficoltà per i blocchi commerciali in Usa
La guerra dichiarata dagli Stati Uniti a Huawei sta facendo molto male al campione nazionale cinese delle telecomunicazioni. Il gruppo di Shenzhen è stato costretto a cedere Honor, il suo brand di telefonini a basso costo lanciato nel 2013. È una mossa per garantire la sopravvivenza di Honor dopo che l’Amministrazione Trump da agosto ha negato al colosso cinese l’accesso ai rifornimenti di chip processori e altri componenti basati su copyright americano, comprese le app di Google e Facebook. «Siamo sotto una pressione terribile a caute sa della indisponibilità di elementi tecnici per il business degli smartphone», ha ammesso Huawei. Le vendite tengono bene sul mercato cinese, ma il colpo subito all’estero è grave e si somma ai molti stop inflitti alla divisione 5G dell’azienda, accusata da Washington (senza prove concrete) di essere una quinta colonna del governo cinese.
Honor passa sotto il controllo di un consorzio appositamente costituito che comprende una quarantina di soci, ed è sostenuto dal governo locale di Shenzhen. Tra i membri del consorzio è segnalato il gruppo Suning, che ha una vastissima rete di distribuzione in Cina (e in Italia controlla l’Inter). Non è stato dichiarato il valore dell’operazione, che potrebbe essere di circa 15 miliardi di dollari.
Tagliato il legame con Huawei, ora Honor spera di sfuggire alle sanzioni americane e poter avere nuovamenaccesso al mercato globale della tecnologia.
Durante la scorsa primavera, con la Cina uscita prima delle altre potenze industriali dal lockdown, Huawei era brevemente salita al primo posto nelle vendite globali di telefonini (sono metà del suo fatturato), con una quota di mercato del 19%. Ad agosto la coreana Samsung ha ripreso il primato, mentre il gigante cinese ha cominciato a soffrire sempre di più per la tenaglia americana nell’export. Secondo gli analisti, il gruppo guidato dall’ex ingegnere dell’Esercito Ren Zhengfei ha accumulato con una grande e costosa operazione finale di acquisti uno stock di chip sufficiente a garantire la produzione fino ai primi mesi del 2021. Nel frattempo è stato accelerato lo sforzo per sviluppare il sistema operativo autarchico HarmonyOS. A Shenzhen sperano che con la fine di Trump e l’avvento di Joe Biden la strategia muscolare di strangolamento venga abbandonata o almeno allentata. Di qui il tentativo di resistere ancora alcuni mesi, alleggerendosi del carico di Honor, per utilizzare le scorte di chip nella produzione degli smartphone Huawei di alta gamma, i più redditizi.