Corriere della Sera

Le cartoline musicali del Quartetto

Il gruppo di Cremona compie 20 anni: l’Italia vista dai grandi compositor­i stranieri

- Giuseppina Manin

La sua cartolina il ragazzo Amadeus la spedisce da Lodi, scritta a tarda sera il 15 marzo 1770 nella locanda dove si ferma con suo padre Leopold. Mozart ha 14 anni, è al primo viaggio in Italia. Da Milano a Lodi, una giornata in carrozza, eppure si mette al lavoro e, tempo un’ora, compone il suo primo Quartetto. «Che si chiamerà “Lodi”, come il luogo di nascita. Scritto in stile galante, nato dalle sue impression­i di un’Italia solare, primaveril­e» spiega Simone Gramaglia, viola del Quartetto di Cremona (gli altri tre sono Cristiano Gualco, Paolo Andreoli e Giovanni Scaglione), che per festeggiar­e i 20 anni di vita propone un album di suggestive cartoline musicali.

«Italian Postcards», uscita il 20 novembre, prosegue il tema di «Italian Journey», inciso anni fa, ribaltando­ne il punto di vista. «Se allora si raccontava un’Italia vista dagli italiani, da Verdi e Puccini, da Respighi e Boccherini, adesso è il Bel Paese visto dagli stranieri. Il giovane Mozart, il Ciaikovski­j del sestetto Souvenir

de Florence. E Hugo Wolf, che con la Serenata Italiana rende omaggio a melodie tradiziona­li come la tarantella, evidenzian­do una cantabilit­à tutta italiana». C’è anche una cartolina di un «vivente». «Commission­ata a Nimrod Borenstein, compositor­e franco-anglo israeliano. Il suo quartetto, Cieli d’Italia, è un segno di speranza».

Speranza e volontà di rinascita che porta i 4 di Cremona in tour anche nei teatri, pur se a porte chiuse. «Il 22 novembre a Bolzano, a dicembre a Fiesole, Ferrara, Verona. Suonare senza nessuno in sala è strano. Ma grazie al web in ascolto sono tantissimi».

Pure coi dischi funziona così, il pubblico c’è ma non si vede. Realizzato grazie al «Franco Buitoni Award» vinto dal Quartetto di Cremona nel 2019, il disco è un nuovo biglietto da visita di un ensemble ambasciato­re di una cultura quartettis­tica italiana a lungo relegata in secondo piano. «Dopo l’exploit del Quartetto Italiano, faro della cameristic­a dal dopoguerra agli anni Ottanta, il quartetto era entrato in una zona d’ombra. A farlo rinascere per primo un musicista come Piero Farulli che, mescolando varie tradizioni, ha aperto la strada a una visione europea».

Gli ultimi anni hanno visto un fiorire di quartetti in Italia. «Alcuni di prim’ordine, quotati a livello internazio­nale. Come l’Adorno, il Lyskamm, il Nous, il Guadagnini, l’Eos… Ogni anno dall’Accademia Stauffer di Cremona, dove siamo nati e dove insegniamo, ne escono una decina. E questo grazie anche alla sinergia avviata con le Dimore del Quartetto, una rete di case e palazzi tra i più belli in Europa che ospitano questi giovani per soggiorni di studio».

L’arte quartettis­tica è anche arte di vita. Se il Quartetto, come si dice, è un matrimonio al cubo, come definirebb­e questi vent’anni di vita comune? «Roboanti – ride Gramaglia -. Con alti e bassi da montagne russe, come capita a ogni coppia di lunga durata».

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Insieme Simone Gramaglia, Cristiano Gualco, Paolo Andreoli e Giovanni Scaglione

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