Prodigio Sinner: senso del tempo e la capacità innata di colpire in avanzamento
Con calma, con pazienza. E sempre toccando tutti gli amuleti del caso. Ma se nelle ultime settimane ogni appassionato di tennis si è sbizzarrito a cercare termini di paragone per Jannik Sinner, la ragione appare evidente. Va per la maggiore il confronto con un giovane Andy Murray, forse anche per via dell’analogia cromatica. Ma lo scozzese a quel l’età aveva più mano, si difendeva di più e meglio. E rispetto a lui, il nostro ha una capacità infinitamente superiore di generare colpi vincenti. Una modesta proposta: Marat Safin. Il campione russo è forse l’unico grande del passato recente che a 19 anni poteva vantare la stessa pesantezza di palla.
Possono sembrare pensieri oziosi, ma diciamoci la verità. Anche le finali Atp in corso a Londra ci sembrano un interludio. In uno sport dove abbiamo sempre vinto poco, questo senso di attesa appare più che giustificato. Tanto vale parlarne. Per capire quel che rende speciale Sinner e dove può ancora migliorare.
Dio gli ha dato il dono di un timing incredibile sulla palla, che il coach Riccardo Piatti gli chiede di sfruttare al meglio. Non c’è il diktat alla Andre Agassi, che prevede di stare dentro al campo per colpire in anticipo. Per il suo allenatore conta solo che colpisca sempre in avanzamento, non importa se un metro dietro la riga di fondo, al netto della strategia di ogni singola partita. Una piccola rivoluzione. Ogni tennista nasce con un «suo» colpo. Il rovescio è pazzesco. Già oggi ne vengono in mente pochi capaci di reggere su quella diagonale. Giusto Novak Djokovic.
Il dritto è meno naturale. Non è un movimento del tutto pulito. Sinner ruota ancora troppo spesso con le anche al momento dell’impatto, e gli manca ancora la complessione fisica per dare stabilità al suo gesto. Sarà sempre il fondamentale che nei momenti di tensione, quando si perde fluidità, gli causerà più problemi. Ma è anche quello sul quale tecnicamente si può lavorare di più. Il servizio progredirà con il fisico. I suoi preparatori atletici Dalibor Sirola e Claudio Zimaglia curano molto anche la parte antinfortunistica. Non hanno fretta di aggiungere massa, e fanno bene. Nel gioco di volo gli manca la mano e la transizione, ovvero il modo per arrivarci. Non sarà mai Stefan Edberg. Ma con la spinta che mette dal fondo, non avrà neppure bisogno di esserlo.
La sua arma principale è il ritmo impresso allo scambio. E, per paradosso, il suo punto debole è invece l’incapacità di cambiarlo quando l’avversario lo regge o mescola le carte. È l’aspetto tattico che Piatti sta curando di più. Troveranno le variazioni. Perché quando c’è la forza mentale, c’è quasi tutto. Pensa tennis, respira tennis, come il suo allenatore. Passano le giornate a guardare le partite, a studiare. L’imperturbabile Jannik è stato programmato per arrivare in alto. Si aspetta molto da se stesso. Il suo coach gli ha disegnato un percorso che prevede l’idea del miglioramento quotidiano, con il risultato come sua naturale conseguenza. Non è un giocatore che trasmette molte emozioni, e non appassiona gli esteti del gioco. Verrà amato in proporzione alle sue vittorie. Ma siamo convinti che non ci sarà problema.