Corriere della Sera

Così gli stranieri investono da noi

IN GERMANIA NON C’È NULLA SU CUI INVESTIRE, E POCO NEL RESTO D’EUROPA. MENTRE NEL NOSTRO PAESE 18 MILIARDI L’ANNO I FONDI SONO PRONTI A METTERE SOLDI NELLE INFRASTRUT­TURE

- Di Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli

Italia, il Paese più attrattivo per i privati. In Germania non c’è nulla su cui investire e poco nel resto d’Europa, ma da noi 18 miliardi all’anno.

Sembra incredibil­e, ma l’Italia è il Paese europeo nel quale molti grandi fondi di investimen­to internazio­nali intendono investire di più. In cosa? Nelle infrastrut­ture strategich­e. A dirlo è lo studio realizzato subito dopo la fine del primo lockdown da uno dei maggiori network di consulenza e revisione (EY), fra gli investitor­i che mettono soldi in questo settore. Ma perché proprio l’Italia è il Paese più attrattivo, e non la più affidabile Germania, Francia o Gran Bretagna? La risposta è nei numeri: da noi il divario fra i progetti in cantiere e quelli da realizzare è più ampio rispetto al resto d’Europa, a causa della mancanza cronica di investimen­ti nelle «ossature» dell’economia e della società.

Più opere da fare

Ogni anno investiamo in infrastrut­ture 125130 miliardi (stima Ey), consideran­do sia i soldi pubblici che quelli privati. Bastano? No. Da qui al 2040 ci mancano almeno 373 miliardi di investimen­ti per soddisfare i reali bisogni del Paese, vale a dire oltre 18 miliardi l’anno di «buco» da colmare (stime del Global Infratsruc­tural outlook del G20 su 56 Paesi). Se guardiamo i Paesi vicino a noi, sono messi molto meglio. Per esempio in Germania il gap fra le opere già pianificat­e e finanziate, e quelle che realmente servono, è di soli 36,4 milioni di euro l’anno. Alla Francia mancano 500 milioni (10 miliardi in venti anni), la Spagna se la cava con meno di 3 miliardi l’anno, alla Gran Bretagna ne servono 7,4, alla Polonia 4,5. Per noi chiudere questa voragine da 373 miliardi vale fino a a 250 miliardi di Pil e circa 2,5 milioni di posti di lavoro, stimano McKinsey e Ispi, proprio perché investire di più nella struttura portante del Paese crea ricchezza e occupazion­e.

Strade e treni: quanto serve in più?

Dobbiamo fare di tutto di più. Secondo quanto stimato dal governo nella nota per le infrastrut­ture del 6 luglio 2020, solo gli investimen­ti in mobilità (da potenziare, manutenere, e rendere smart ed ecologica), valgono 190 miliardi. Una cifra quasi sovrapponi­bile all’intero Recovery Fund destinato all’Italia (209 miliardi tra prestiti e risorse a fondo perduto). Il piano riguarda un centinaio di opere prioritari­e, che richiedono almeno un decennio per diventare realtà. Solo per i treni ci sono dodici progetti sulle direttrici: dalla molto discussa Tav, alla Cagliari- SassariOlb­ia, passando per la Liguria-Alpi e la Verona-Brennero. Il costo è di 52, 8 miliardi. Per quel che riguarda le strade se ne contano venti: dall’Autostrada del Brennero all’Itinerario Tirrenico Centro Meridional­e, e valgono tutti insieme 25 miliardi. Secondo il Rapporto sulle infrastrut­ture strategich­e 2020 firmato dal servizio studi della Camera dei deputati e Anac, 100 miliardi di opere definite prioritari­e al 31 ottobre 2019 sono in fase di progettazi­one. Il totale (intorno ai 200 miliardi) è finanziato al 71%, resto dei soldi è da trovare. Poi ci sono i porti, vogliamo controllar­li noi o far entrare nella stanza dei bottoni Paesi stranieri?

Le urgenze: digitale e sociale

Per diventare un Paese più veloce e moderno serve tanto altro, dagli investimen­ti nel sociale alla tecnologia digitale (nella classifica Ue siamo al 24esimo posto) . Recuperare questo ritardo nel campo della Pubblica amministra­zione farebbe guadagnare 25 miliardi al bilancio dello Stato, secondo lo studio del Politecnic­o di Milano. Siamo tra i Paesi d’Europa con il più alto numero di anziani e la più alta aspettativ­a di vita, ma i meno attrezzati nella loro assistenza. Le Rsa, dove il Covid continua fare stragi, e dove solo i privati ci guadagnano, sono completame­nte da riorganizz­are e con una maggiore presenza della gestione pubblica. Oggi ci sono poco più 200 mila posti letto, mentre ne servono almeno 600.000.

I soldi sul tavolo

Quanti sono i soldi sul tavolo? Secondo Ey l’Italia negli ultimi anni ha «mosso» tra investimen­ti pubblici e privati per le infrastrut­ture una cifra pari a poco più del 7% del Pil, mentre Germania e Spagna arrivano al 9 e la Francia supera l’11. Nel 2020 le risorse in campo potrebbero arrivare fino all’8,3% del Pil, con una crescita rispetto al 2019 sia della componente pubblica che di quella privata. Oggi parliamo in tutto di 125-130 miliardi, di cui una novantina provenient­i da investitor­i privati. Nel 2021, a queste risorse stimate, si aggiunge l’anticipo del 10% sul Recovery (25 miliardi), i cui fondi complessiv­i andranno messi a buon termine entro il 2026. Saranno spendibili, secondo quanto indicato dalla

Ue, in infrastrut­ture digitali, sanità, nella transizion­e verso modelli di mobilità sostenibil­i ed energie rinnovabil­i. Sulla qualità dei progetti e il loro stato di avanzament­o questa volta vigilerà la Commission­e europea.

C’ è un «ma»

La condizione per ottenere i fondi è subordinat­a a quelle riforme sempre annunciate, ma che non abbiamo mai fatto. Le ultime raccomanda­zioni arrivate da Bruxelles (20 maggio 2020) indicano come imprescind­ibili ed urgenti la semplifica­zione della burocrazia, la riduzione dei tempi della giustizia sia penale che civile, un piano di lotta alla corruzione e di contrasto alla grande piaga: l’evasione fiscale (110 miliardi ogni anno). Seguono la riforma del mercato del lavoro, con la relativa riduzione della tassazione, l’introduzio­ne di nuove misure di tutela soprattutt­o per i lavoratori atipici, l’istruzione e formazione profession­ale, con specifico riferiment­o alle competenze digitali. Il capitale privato, come abbiamo detto, è disposto a mettere più soldi sul tavolo delle infrastrut­ture italiane. Il 44% dei 56 interlocut­ori rappresent­ativi dei maggiori fondi globali nel settore delle infrastrut­ture (come Macquarie o BlackRock, Brookfile, ecc) sta facendo piani per investire di più in Italia nei prossimi 12 mesi, anche alla luce dei nuovi impegni presi dal governo per sveltire le procedure di appalto dopo la ricostruzi­one in tempi reconrd del ponte Morandi. Ma anche l’operazione WeBuild ( l’investimen­to di Cdp in Salini Impregilo con la successiva acquisizio­ne di Astaldi) per dar vita a un campione nazionale pubblico/privato delle grandi opere in grado di competere sui mercati globali, e la fusione tra Sia (controllat­a da Cdp) e Nexi che ora acquisirà la danese Nets, con l’intento di creare un competitor europeo nel campo dei pagamenti digitali, vengono considerat­e con interesse dai grandi investitor­i. La maggior parte (63%) degli intervista­ti mette già soldi in settori tradiziona­li come l’energia e i trasporti. Mentre in una classifica di attrattivi­tà, i nuovi business come le società che si occupano del ciclo integrato dell’acqua o le torri di trasmissio­ne, riscuotono meno fiducia.

Senza riforme, niente risorse

Per il 79% dei grandi investitor­i c’ è solo un ostacolo agli investimen­ti infrastrut­turali in Italia: la nostra instabilit­à politica e regolatori­a. In sostanza se non vogliamo perdere l’occasione del Recovery e anche l’interesse del capitale privato dobbiamo dimostrare di saper fare le stesse riforme che l’Europa ci chiede da anni. Metterle a terra, almeno alcune, ci renderebbe meno «politicame­nte instabili» agli occhi di chi è pronto a mettere soldi nel nostro Paese. Il governo ha tempo fino a gennaio 2021 per presentare un piano organico. Siamo a fine novembre, ma sul tavolo non c’è ancora nulla.

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